Quartetto Verdi e membri dell’mdi ensemble
The Schoenberg Experience
Primo concerto
Arnold Schoenberg
Quartetto in re maggiore (1897)
Trio d’archi op. 45 (1946)
Verklärte Nacht (Notte trasfigurata) op. 4, per sestetto d’archi (1899)
Quartetto Verdi
Francesco De Angelis, Lorenzo Gentili Tedeschi violini
Roberto Tarenzi viola
Claudia Ravetto violoncello
Paolo Fumagalli viola – Giorgio Casati violoncello (mdi ensemble)
in collaborazione col festival The Schoenberg Experience, Bologna
Questo primo concerto è un tutto-Schoenberg monografico divaricato fra l’estrema giovinezza e l’estrema maturità dell’autore, due stagioni creative che in effetti si ricongiungono nella sua poetica concreta quasi come un ideale ritorno alle origini.
I tre concerti di Reggio Emilia costituiscono una sintetica e stimolante mini-rassegna dotata di coerenza propria. Il primo concerto, diviso fra l’estrema giovinezza e l’estrema maturità dell’autore, costituisce il punto da cui si dipartono il secondo e il terzo concerto, i quali toccano rispettivamente le relazioni Schoenberg/tradizione in una direzione, e Schoenberg/musica contemporanea nella direzione opposta.
Nell’occasione è anche possibile lungo i tre concerti gettare uno sguardo alla grande varietà di stili – dal tardo romantico all’espressionista, dal tonale al dodecafonico – e di organici – vocali e variamente cameristici – che caratterizza la produzione di Schoenberg.
Il Quartetto Verdi nasce dall’incontro inusuale di musicisti che provengono da esperienze artistiche diverse. Le loro distinte attività (dal ruolo di Spalla del Teatro alla Scala, al solismo; dal camerismo ventennale prima nel Quartetto Borciani e poi nel Quartetto Petrassi, alle docenze di prestigio anche internazionali) si sono trovate a convergere nel comune desiderio di “far quartetto”, coinvolgendo un giovane che ha già fatto tesoro, nonostante l’età, di una solida esperienza cameristica.
Mdi Ensemble nasce nel 2002 su iniziativa di sei musicisti milanesi uniti dalla passione per la musica contemporanea. Fin dagli esordi, l’ensemble fa della collaborazione diretta con i compositori – emergenti e affermati – un tratto saliente della propria filosofia.
Compositore austriaco naturalizzato statunitense (Vienna, 1874 – Los Angeles, 1951). Ebbe una formazione musicale irregolare e sostanzialmente da autodidatta, anche se ricevette lezioni da Alexander von Zemlinsky.
Dal 1901 al 1903 è a Berlino, dove collabora al cabaret artistico e letterario "Überbrettl" di Ernest von Wolzogen e insegna composizione al Conservatorio Stern; ma all’insegnamento si dedicherà in modo particolare dopo il ritorno a Vienna nel 1903. Nella capitale austriaca diviene amico di Gustav Mahler, Karl Kraus, Oskar Kokoschka e conta tra gli allievi Alban Berg e Anton Webern. La generale ostilità del pubblico e degli ambienti ufficiali lo spingono a lasciare la città definitivamente nel 1926, per trasferirsi a Berlino, dove è chiamato, alla morte di Ferruccio Busoni, a occuparne la cattedra presso la Preussische Akademie der Künste. L’ascesa al potere di Hitler costringe Schoenberg a prendere nel 1933 la via dell’esilio e a stabilirsi negli USA, dapprima a Boston, quindi a New York, infine a Los Angeles, dove dal 1936 insegna alla University of California. Nel 1940 ottiene la cittadinanza americana.
La prima fase della produzione di Schoenberg si inserisce con originalità nel panorama del tardo romanticismo, muovendosi nell’orbita del gusto wagneriano e mahleriano, ma accogliendo anche essenziali influenze di Brahms. In Verklärte Nacht (Notte trasfigurata, 1899), poema sinfonico per sestetto d’archi, e nel poema sinfonico per orchestra Pelleas und Melisande (1903) il cromatismo wagneriano è condotto ai limiti della rottura, mentre i Gurrelieder (1900-11) rivelano un’analoga drammatica intensificazione delle esperienze tardoromantiche. La straordinaria densità ed essenzialità della scrittura della Kammersymphonie op. 9 (1906) appartengono ormai allo Schoenberg più maturo e originale: agli ultimi due tempi del secondo Quartetto op. 10 (1907-08), con voce di soprano, risale infine la prima definitiva rottura con le convenzioni del sistema tonale.
Segue una serie ininterrotta di capolavori fino agli anni della prima guerra mondiale: si tratta di pagine tra le più significative ed emblematiche dell’espressionismo musicale, in cui non solo il rifiuto delle gerarchie tonali, ma anche lo sconvolgimento delle categorie formali tradizionali (in nome di un’essenzialità che non può più far uso dei consueti nessi discorsivi) e l’originalità delle intuizioni timbriche appaiono frutto di una “necessità interiore” (nel senso dato all’espressione da Vasilij Kandinskij, allora vicinissimo a Schoenberg) che appare gesto di rivolta e unico rifugio del soggetto che voglia preservare la propria autenticità umana in un mondo teso a distruggerla. Le visioni di Schoenberg espressionista si incarnano tra l’altro in due brevi lavori teatrali, Erwartung (Attesa, 1909) e Die glückliche Hand (La mano felice, 1908-13), nei Pezzi per pianoforte op. 11 e 19, nei Lieder op. 15 (1908) e op. 22 (1913-16), nei Cinque pezzi op. 16 per orchestra (1909), nel Pierrot lunaire (1912), una delle sue partiture più celebri, dove viene sistematicamente usato lo Sprechgesang (stile cantato/parlato in cui le singoel note vengono prese, ma sùbito abbandonate, scendendo o salendo).
Nel primo dopoguerra Schoenberg lavorò a un oratorio, Die Jakobsleiter (La scala di Giacobbe), rimasto incompiuto, ed elaborò il metodo dodecafonico, in cui ravvisava la soluzione necessaria a dare nuova coerenza costruttiva alle composizioni senza ritornare alle vecchie gerarchie tonali. Nei suoi lavori Schoenberg usa questo metodo come uno strumento di controllo della distruzione dei nessi tonali (o eventualmente di un loro recupero minimale) e in funzione di una sorta di ultratematizzazione volta a ridurre tutta una composizione a una cellula unitaria, facendo peraltro coesistere la dodecafonia con il ritorno alle strutture formali tradizionali che negli anni precedenti aveva radicalmente messo in discussione. L’evoluzione di Schoenberg muove cioè nella direzione di un costruttivismo che non approfondisce certe sconvolgenti, modernissime intuizioni delle opere espressioniste, ma che neppure ne rinnega la sostanza, lasciando emergere sotto l’apparente sforzo di oggettivazione i sussulti del linguaggio precedente. Un caso emblematico di tale situazione sono le Variazioni op. 31 per orchestra (1926-28), mentre in alcuni lavori precedenti come la Suite op. 25 per pianoforte (1921-23) e il Quintetto op. 26 per strumenti a fiato (1923-24) si nota una sorta di irrigidimento, di freddezza metallica.
In Schoenberg sono sempre coesistite arditezze innovatrici e profondi legami con la tradizione: la tensione derivante da tale duplice aspetto, che lo ha fatto definire “conservatore rivoluzionario”, è sempre un elemento caratterizzante della sua poetica, tuttavia una nostalgia del passato sembra emergere nei primi anni dell’esilio americano con più evidenza, spingendo il musicista a ritorni alla tonalità, o a recuperi e allusioni tonali all’interno di opere dodecafoniche (Concerto per violino, 1936; Ode a Napoleone, 1942; Concerto per pianoforte, 1942).
Nelle opere degli ultimi anni viene superata anche questa fase (in cui l’invenzione di Schoenberg appare volta a esiti in un certo senso addolciti, a un gesto compositivo meno teso), in una serie di capolavori che recuperano un’eccezionale libertà creativa, facendo proprie tutte le esperienze precedenti e facendo rivivere alla loro luce l’arditezza inventiva degli anni dell’espressionismo; si ricordano in particolare il Trio op. 45 (1946), De Profundis (1949), A Survivor from Warsaw (Un sopravvissuto di Varsavia, 1947). Incompiuto è rimasto uno dei massimi vertici della produzione di Schoenberg, l’opera Moses und Aron, i cui due atti portati a termine (1930-32) rappresentano uno dei testi più alti e significativi del teatro musicale del XX secolo.
Tra le opere teoriche sono di fondamentale importanza Harmonielehre (Manuale di armonia, 1910-11), Style and Idea (1950) e Structural Functions of Harmony (Funzioni strutturali dell’armonia, 1954).
(da: sapere.it/enciclopedia/Schönberg,+Arnold.html)