SCHOENBERG, IL LUNARE
Concerto Tre
Icarus Ensemble
Jonut Pascu, baritono
Giovanni Landini, direttore
Ferruccio Busoni, Berceuse elégiaque, trascrizione di Arnold Schoenberg ed Erwin Stein per flauto, clarinetto, harmonium, quartetto d'archi e pianoforte
Arnold Schoenberg, Serenade op. 24 per clarinetto, clarinetto basso, mandolino, chitarra, violino, viola, voloncello e baritono
Johann Strauss, Kaiser-Walzer op. 437, trascrizione di Arnold Schoenberg per flauto, clarinetto, pianoforte e quartetto d'archi
Arnold Schoenberg, 2 Lieder op. 14, trascrizione di Mauro Montalbetti per baritono e ensemble
Gustav Mahler, Lieder eines fahrenden Gesellen, trascrizione di Arnold Schoenberg per baritono e piccolo ensemble
Per un pedagogo eccelso come Schoenberg, il lavoro di trascrizione fu molto più di un esercitazione. Il trasferimento di una musica da un organico a un altro – da un universo timbrico e di senso a un altro – impone al compositore una sorta di colluttazione con la scrittura musicale. Non si tratta mai di "riduzioni", ma di riconsiderazioni critiche della stessa sostanza sonora; un terreno ideale per comprendere quanto ugualmente implicato fosse Schoenberg con le proprie sconvolgenti innovazioni e con la tradizione. Ciò è particolarmente evidente nei valzer di Johann Strauss, pezzi da ballo e di intrattenimento che acquistano dalla trascrizione lividi ed estranianti riverberi. Lo stesso vale per i Lieder di Mahler, seppur in misura minore, essendo il boemo già dentro i travagli della modernità. Il pezzo di Busoni si può definirlo una trascrizione "di bottega": ora attribuito a Schoenberg, ora al suo allievo Erwin Stein, fu probabilmente un lavoro a quattro mani condotto nel laboratorio didattico del maestro.
Appositamente per questa occasione, il festival ha commissionato a Mauro Montalbetti la trascrizione dei 2 Lieder op.14 di Schoenberg, dipanando in un ensemble che richiama l’organico della Serenade op. 24 (v. sotto) la parte solo pianistica dell’originale.
"Ho accettato con immediato e sfacciato entusiasmo la commissione di orchestrare per il Festival REC i due Lieder per voce e pianoforte op. 12 di Arnold Schoenberg. La sfida (e che sfida!) si presentava ancora più interessante in quanto l’organico è stato anch’esso richiesto dal committente. L’approccio è molto personale, nessuna imitazione o esercizio di stile ma, semplicemente, lo studio del testo poetico – come se fosse una mia composizione – per amplificare la raffinata atmosfera che le scelte tematiche e armoniche di Schoenberg creano. Spero di essere riuscito a rendere ancora più evidente il senso di tragicità e disperata oniricità che le parole di Ammann e Klemperer e la musica di Schoenberg trasmettono." (M.M.)
Serenade op. 24
Questa composizione iniziata nel 1921, finita nel 1923, e rappresentata per la prima volta nel 1924, costituisce uno dei primi tentativi di Schoenberg di applicare la tecnica dodecafonica su larga scala. Un problema di difficile soluzione; è infatti curioso notare come il massimo allontanamento dalla sintassi musicale tradizionale (la dodecafonia, appunto) porti Schoenberg a riconnettersi, per compensazione, alle forme musicali tradizionali (marcia, minuetto, tema con variazioni, etc.). La Serenade è estremamente originale per le sue combinazioni strumentali, che colorano l’intrico contrappuntistico di strane presenze: tintinnii di chitarra e mandolino, emissioni speciali degli archi e dei fiati. La voce interviene solo nel quarto movimento – cardine di tutto il pezzo – laddove intona, in traduzione tedesca, il sonetto "Far potess’io vendetta" di Francesco Petrarca. La tecnica dodecafonica s’appoggia qui morfologicamente anche al testo; infatti le undici sillabe di ciascun verso corrispondono a una nota della serie dodecafonica, sicché la dodicesima si sposta sulla prima sillaba del verso successivo.
I tempi della composizione: 1. Marsch 2. Menuett-Trio 3. Variationen-Thema 4. Sonett Nr. 217 von Petrarca 5. Tanzscene 6. Lied (ohne Worte) 7. Finale
Il sonetto di Petrarca:
Far potess’io vendetta di colei
che guardando et parlando mi distrugge,
et per piú doglia poi s’asconde et fugge,
celando gli occhi a me sí dolci et rei.
Cosí li afflicti et stanchi spirti mei
a poco a poco consumando sugge,
e ’n sul cor quasi fiero leon rugge
la notte allor quand’io posar devrei.
L’alma, cui Morte del suo albergo caccia,
da me si parte, et di tal nodo sciolta,
vassene pur a lei che la minaccia.
Meravigliomi ben s’alcuna volta,
mentre le parla et piange et poi l’abbraccia,
non rompe il sonno suo, s’ella l’ascolta.
La traduzione adottata da Schoenberg:
O könnt’ ich je der Rach’ an ihr genesen,
Die mich durch Blick und Rede gleich zerstöret,
Und dann zu größerm Leid sich von mir kehret,
Die Augen bergend mir, die süßen, bösen!
So meiner Geister matt bekümmert Wesen
Sauget mir aus allmählich und verzehret und brüllend,
Und brüllend, wie ein Leu, ans Herz mir fähret
Die Nacht, die ich zur Ruhe mir erlesen!
Die Seele, die sonst nur Tod verdränget,
Trennt sich von mir, und, ihrer Haft entkommen,
Fliegt sie zu ihr, die drohend sie empfänget.
Wohl hat es manchmal Wunder mich genommen,
Wenn die nun spricht und weint und sie umfänget,
Daß fort sie schläft, wenn solches sie vernommen.