Pierrot REDUX
Opera-cabaret in 7x3 scene
Prima assoluta
da Pierrot lunaire: Rondels bergamasques di Albert Giraud, nella versione italiana di Andrea Raos
musica di Massimiliano Viel
con Felicita Brusoni e Victor Andrini
Icarus ensemble
direttore Dario Garegnani
regia, scene, costumi e luci Filippo Andreatta
assistente alla regia Sara Thaiz Bozano
nuova produzione e commissione Fondazione I Teatri / Festival Aperto
Scritta da Massimiliano Viel, per due voci, 7 strumenti e basi elettroniche, l’opera da camera prende come punto di riferimento quel Pierrot Lunaire di Arnold Schoenberg che, con la sua rivoluzionarietà musicale, è alla base della modernità prima e poi del contemporaneo, e la raccolta di poesie Pierrot lunaire: Rondels bergamasques del poeta belga Albert Giraud, alla base del lavoro di Schoenberg.
Viel crea un lavoro interamente nuovo in cui Pierrot viene catapultato nel caotico mondo contemporaneo, simbolo di una soggettività perduta, inevitabilmente distratta dalle lusinghe di una mondanità alienata.
Filippo Andreatta, che cura l’impianto visivo, sceglie di tradurre l’ambientazione sonora immaginata da Viel svuotando il palco, che diventa un paesaggio spoglio su cui regna solitaria l’immagine di una gigantesca eclissi.
Informazioni sullo spettacolo
07.10.2022 - h 20:30 - Teatro Ariosto
09.10.2022 - h 18:00 - Teatro Ariosto
Posto unico
€ 20,00
Riduzioni
Iscritti Unimore > 50%
Under 30 > 30%
Amici dei Teatri > 20%
Over 65 > 15%
Gruppi (più di 15 persone) > 15%
Under 20 > 10 euro (disponibilità limitata)
Note di composizione di Massimiliano Viel
La maschera diventa qui emblema della soggettività sperduta di oggi, immersa in una realtà fluida dominata dalle istanze oppressive del mondo che finiscono col minarne il senso di realtà e le possibilità di autonomia. Unica via d’uscita è quella malinconia e rabbia violenta, che sono tipici del Pierrot di Albert Giraud, poeta belga autore delle 50 poesie della raccolta Pierrot lunaire: Rondels bergamasques, che è alla base sia del lavoro di Schoenberg che di quello presente.
Qui, come in Schoenberg, dominano i numeri 3, come le parti dell’opera ma anche degli strati compositivi che la percorrono, e 7, come i brani per ciascuna parte, ma anche il numero delle funzioni che ne definiscono l’armonia. È però soprattutto il 2, che è l’espressione di un dialogo con il lavoro di Schoenberg, a determinare lo sdoppiamento dei personaggi e dell’ensemble strumentale, tra il quintetto del Pierrot Lunaire da un lato e due strumenti caratterizzanti del Novecento, cioè le percussioni e la tastiera elettronica, ancora 7.
Il rapporto con il compositore viennese viene sviluppato come un processo di emancipazione che si avvia dalla prima parte, in cui vengono sostanzialmente usati gli stessi testi nello stesso ordine, fino alla terza, in cui vi sono prevalentemente testi che Schoenberg non aveva scelto e in cui la citazione del suo lavoro viene relegata sullo sfondo e resa quasi totalmente irriconoscibile.
Se la prima parte, dedicata al soprano, è dunque quella più “tradizionale” in cui sono ancora riconoscibili le istanze del Pierrot Lunaire, la seconda parte, dedicata al baritono, è l’irruzione del mondo esterno, ormai globale e incontrollato. La terza parte, in cui sono prevalenti i duetti, cerca, pur sempre senza abbandonare totalmente il registro del grottesco, di alludere, per quanto può farlo un brano musicale o una poesia simbolista, ad alcuni nodi importanti nella costruzione della soggettività contemporanea, come l’avidità funzionale al capitalismo, l’abnegazione alle false verità proposte dai media, la costruzione di un mondo come lo specchio del sé individuale e il senso, sempre più opaco, di realtà.
Dal punto di vista più specificamente narrativo, il Pierrot Redux, segue le intenzioni di Giraud, corrisposte anche da Schonberg, nel creare una giustapposizione di quadri fortemente caratterizzati da scene e gesti.
Allora, dopo una introduzione in cui i due personaggi (semplicemente, lui e lei) si ritrovano su una panchina ad aspettare l’alba dopo una notte di divertimenti (brano 1), vengono presentati i due personaggi alter-ego di Colombina (2) e del Dandy (3) (ecco un ulteriore sdoppiamento dei personaggi tra realtà e immaginazione) in alcuni quadri che ne rappresentano, in toni satirici, la disperazione, come il teatro, che in realtà allude allo strip club (4), il ballo sfrenato e violento (5) e la seduta spiritica (6). La prima parte si chiude con una “esplosione” puntillistica (7) del corrispondente brano di Schoenberg in cui la malattia della luna si proietta su un soggetto disperso nel mondo, che è qui il soprano tornata nel personaggio di lei e che alla fine esce di scena lasciando il posto al primo intermezzo, un assolo schoenberghiano per clarinetto.
Siamo finalmente alla terza e ultima parte, introdotta dalla supplica congiunta di lui e lei (15) per il recupero di una leggerezza del vivere che Pierrot sembra aver perso. Abbiamo poi una serie di brani (dal 16 al 19) in cui vengono presentati alcuni temi, volti a sottolineare i vizi del contemporaneo, come detto più sopra, i temi rispettivamente dell’avidità, della mania di controllo, dell’egocentrismo e dell’autorità conferita ai media. E infine del senso di realtà, che si annuncia, come l’alba, prima con la sua luce rosea (20) e finalmente con i colori del mondo alla luce del sole (21), in un caos che è a un tempo meraviglioso ma anche faticoso e logorante, e che forse ci fa rimpiangere la gabbia “argentea” del buio e della luna, pronti a rifugiarci nuovamente in essa alla fine del giorno.
Concludo, con una nota. Tra Schoenberg, le citazioni e allusioni musicali e la costruzione di un sistema armonico specifico, il legame musicale dell’opera è sempre soggetto al suo autore e alle sue idiosincrasie. Per questo e proprio per il tema della soggettività contemporanea e del rapporto esplicito con un referente musicale del passato, cioè Schoenberg, ho voluto rendere l’opera un grande flusso di coscienza, in cui frammenti della mio personale mondo musicale si presentano, si mischiano e si trasformano pur, spesso, senza poter essere riconoscibili da gran parte del pubblico. Non si parli quindi di citazionismo o di postmodernismo, ma della tematizzazione di una continua lotta tra le forzate lusinghe di un mondo traboccante di stimoli, che è poi lo stesso in cui vive Pierrot, e la tensione dell’artista verso la costruzione, mai finita, della sua autonomia di soggetto creativo.
Note di regia di Filippo Andreatta
L’ambientazione sonora di Viel parte da due persone, una donna e un uomo, reduci da una notte di bagordi che si fermano a guardare la luna. Una soprano e un baritono, due volti di un solo personaggio che va sdoppiandosi, dividendosi, frammentandosi. La moltitudine di voci, che chiunque porta con sé, prende il sopravvento sgretolando Pierrot. Frantumi che a loro volta diventano personaggi staccati dall’originale ma fusi ad esso, disgregati ma assieme, isolati ma anche all’unisono. Particelle di una soggettività che si ostinano nella notte, in una festa che in realtà è già finita ma che indugia nell’energia di quell’unico corpo infranto, nel procrastinarsi dell’ebrezza. Pierrot Redux è il residuo di un rave party; una transizione fra il cielo notturno e diurno, un’interposizione stellare. Pierrot Redux è un’eclisse; il sole è occluso dalla luna, oscurato, e solo frange di luce e bagliori attraversano la galassia solare non permettendo all’alba di far scemare la festa, al corpo di riunirsi in uno. In questa lenta transizione la luna si frappone fra i resti di Schoenberg e la riscrittura di Viel creando un cono di penombra, un’ombra celestiale che vaporizza il Pierrot Lunaire nei suoi fantasmi contemporanei.
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