Coro del Teatro Comunale di Bologna /Lorenzo Fratini direttore
The Schoenberg Experience
Secondo Concerto
Johannes Brahms Canoni da ‘Dreizehn Kanons’ op. 113 per coro femminile (1891)
Arnold Schoenberg Canoni vari
Arnold Schoenberg Drei Volksliedbearbeitungen (Tre canzoni popolari) per coro misto (1929)
Johannes Brahms 6 canti popolari dai Deutsche Volkslieder (Canti popolari tedeschi) WoO 33 per soprano, coro e pianoforte (1894)
Arnold Schoenberg Drei kanonische Chöre (Tre cori canonici) su aforismi di Goethe, per coro misto (1916)
Arnold Schoenberg Drei Volksliedsätze (Tre canzoni popolari) op. 49 per coro misto (1948)
Johannes Brahms Liebesliederwalzer (Canzoni d’amore-Valzer) op. 52 per 4 voci e pianoforte a 4 mani (1869)
in collaborazione col festival The Schoenberg Experience, Bologna
Dopo un tutto-Schoenberg (primo concerto) questo secondo concerto esce dalla dimensione monografica per andare a sondare il rapporto con la tradizione e in particolare con uno dei suoi punti di riferimento centrali della poetica di Schoenberg, e suo maestro ideale: Johannes Brahms. Che questo rapporto non sia univoco, ma anzi fecondamente dialettico, lo dimostra il titolo di un celebre saggio di Schoenberg: Brahms, il progressivo.
I tre concerti di Reggio Emilia costituiscono una sintetica e stimolante mini-rassegna dotata di coerenza propria. Il primo concerto, diviso fra l’estrema giovinezza e l’estrema maturità dell’autore, costituisce il punto da cui si dipartono il secondo e il terzo concerto, i quali toccano rispettivamente le relazioni Schoenberg/tradizione in una direzione, e Schoenberg/musica contemporanea nella direzione opposta.
Nell’occasione è anche possibile lungo i tre concerti gettare uno sguardo alla grande varietà di stili – dal tardo romantico all’espressionista, dal tonale al dodecafonico – e di organici – vocali e variamente cameristici – che caratterizza la produzione di Schoenberg.
Lorenzo Fratini ha diretto l’Orchestra Regionale Toscana, la Florence Symphonietta, l’Orchestra della Radio di Bucarest, l’Orchestra del Teatro di Cluj-Napoca (Romania), l’Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza, l’Orchestra del Teatro G. Verdi di Trieste. Nel 2003 ha tenuto un atelier sui cori d’opera al Festival Europa Cantat di Barcellona. Ha insegnato al Conservatorio Verdi di Milano e all’Università di Siena. Dal 2004 al 2010 è maestro del coro al Teatro Verdi di Trieste. È stato invitato più volte come maestro del coro dall’Accademia Nazionale S. Cecilia di Roma e ha collaborato con direttori quali Daniel Oren, Lorin Maazel, Christoph Eschenbach. Ha eseguito in prima assoluta lavori di Fabio Vacchi, Tan Dun e Arvo Pärt. Da gennaio 2011 ha assunto la direzione del Coro del Teatro Comunale di Bologna.
Compositore austriaco naturalizzato statunitense (Vienna, 1874 – Los Angeles, 1951). Ebbe una formazione musicale irregolare e sostanzialmente da autodidatta, anche se ricevette lezioni da Alexander von Zemlinsky.
Dal 1901 al 1903 è a Berlino, dove collabora al cabaret artistico e letterario "Überbrettl" di Ernest von Wolzogen e insegna composizione al Conservatorio Stern; ma all’insegnamento si dedicherà in modo particolare dopo il ritorno a Vienna nel 1903. Nella capitale austriaca diviene amico di Gustav Mahler, Karl Kraus, Oskar Kokoschka e conta tra gli allievi Alban Berg e Anton Webern. La generale ostilità del pubblico e degli ambienti ufficiali lo spingono a lasciare la città definitivamente nel 1926, per trasferirsi a Berlino, dove è chiamato, alla morte di Ferruccio Busoni, a occuparne la cattedra presso la Preussische Akademie der Künste. L’ascesa al potere di Hitler costringe Schoenberg a prendere nel 1933 la via dell’esilio e a stabilirsi negli USA, dapprima a Boston, quindi a New York, infine a Los Angeles, dove dal 1936 insegna alla University of California. Nel 1940 ottiene la cittadinanza americana.
La prima fase della produzione di Schoenberg si inserisce con originalità nel panorama del tardo romanticismo, muovendosi nell’orbita del gusto wagneriano e mahleriano, ma accogliendo anche essenziali influenze di Brahms. In Verklärte Nacht (Notte trasfigurata, 1899), poema sinfonico per sestetto d’archi, e nel poema sinfonico per orchestra Pelleas und Melisande (1903) il cromatismo wagneriano è condotto ai limiti della rottura, mentre i Gurrelieder (1900-11) rivelano un’analoga drammatica intensificazione delle esperienze tardoromantiche. La straordinaria densità ed essenzialità della scrittura della Kammersymphonie op. 9 (1906) appartengono ormai allo Schoenberg più maturo e originale: agli ultimi due tempi del secondo Quartetto op. 10 (1907-08), con voce di soprano, risale infine la prima definitiva rottura con le convenzioni del sistema tonale.
Segue una serie ininterrotta di capolavori fino agli anni della prima guerra mondiale: si tratta di pagine tra le più significative ed emblematiche dell’espressionismo musicale, in cui non solo il rifiuto delle gerarchie tonali, ma anche lo sconvolgimento delle categorie formali tradizionali (in nome di un’essenzialità che non può più far uso dei consueti nessi discorsivi) e l’originalità delle intuizioni timbriche appaiono frutto di una “necessità interiore” (nel senso dato all’espressione da Vasilij Kandinskij, allora vicinissimo a Schoenberg) che appare gesto di rivolta e unico rifugio del soggetto che voglia preservare la propria autenticità umana in un mondo teso a distruggerla. Le visioni di Schoenberg espressionista si incarnano tra l’altro in due brevi lavori teatrali, Erwartung (Attesa, 1909) e Die glückliche Hand (La mano felice, 1908-13), nei Pezzi per pianoforte op. 11 e 19, nei Lieder op. 15 (1908) e op. 22 (1913-16), nei Cinque pezzi op. 16 per orchestra (1909), nel Pierrot lunaire (1912), una delle sue partiture più celebri, dove viene sistematicamente usato lo Sprechgesang (stile cantato/parlato in cui le singoel note vengono prese, ma sùbito abbandonate, scendendo o salendo).
Nel primo dopoguerra Schoenberg lavorò a un oratorio, Die Jakobsleiter (La scala di Giacobbe), rimasto incompiuto, ed elaborò il metodo dodecafonico, in cui ravvisava la soluzione necessaria a dare nuova coerenza costruttiva alle composizioni senza ritornare alle vecchie gerarchie tonali. Nei suoi lavori Schoenberg usa questo metodo come uno strumento di controllo della distruzione dei nessi tonali (o eventualmente di un loro recupero minimale) e in funzione di una sorta di ultratematizzazione volta a ridurre tutta una composizione a una cellula unitaria, facendo peraltro coesistere la dodecafonia con il ritorno alle strutture formali tradizionali che negli anni precedenti aveva radicalmente messo in discussione. L’evoluzione di Schoenberg muove cioè nella direzione di un costruttivismo che non approfondisce certe sconvolgenti, modernissime intuizioni delle opere espressioniste, ma che neppure ne rinnega la sostanza, lasciando emergere sotto l’apparente sforzo di oggettivazione i sussulti del linguaggio precedente. Un caso emblematico di tale situazione sono le Variazioni op. 31 per orchestra (1926-28), mentre in alcuni lavori precedenti come la Suite op. 25 per pianoforte (1921-23) e il Quintetto op. 26 per strumenti a fiato (1923-24) si nota una sorta di irrigidimento, di freddezza metallica.
In Schoenberg sono sempre coesistite arditezze innovatrici e profondi legami con la tradizione: la tensione derivante da tale duplice aspetto, che lo ha fatto definire “conservatore rivoluzionario”, è sempre un elemento caratterizzante della sua poetica, tuttavia una nostalgia del passato sembra emergere nei primi anni dell’esilio americano con più evidenza, spingendo il musicista a ritorni alla tonalità, o a recuperi e allusioni tonali all’interno di opere dodecafoniche (Concerto per violino, 1936; Ode a Napoleone, 1942; Concerto per pianoforte, 1942).
Nelle opere degli ultimi anni viene superata anche questa fase (in cui l’invenzione di Schoenberg appare volta a esiti in un certo senso addolciti, a un gesto compositivo meno teso), in una serie di capolavori che recuperano un’eccezionale libertà creativa, facendo proprie tutte le esperienze precedenti e facendo rivivere alla loro luce l’arditezza inventiva degli anni dell’espressionismo; si ricordano in particolare il Trio op. 45 (1946), De Profundis (1949), A Survivor from Warsaw (Un sopravvissuto di Varsavia, 1947). Incompiuto è rimasto uno dei massimi vertici della produzione di Schoenberg, l’opera Moses und Aron, i cui due atti portati a termine (1930-32) rappresentano uno dei testi più alti e significativi del teatro musicale del XX secolo.
Tra le opere teoriche sono di fondamentale importanza Harmonielehre (Manuale di armonia, 1910-11), Style and Idea (1950) e Structural Functions of Harmony (Funzioni strutturali dell’armonia, 1954).
(da: sapere.it/enciclopedia/Schönberg,+Arnold.html)