IL MISANTROPO
di Molière
con Massimo Popolizio
regia Massimo Castri
Teatro di Roma
con Graziano Piazza, Sergio Leone, Federica Castellini, Ilaria Genatiempo, Laura Pasetti, Tommaso Cardarelli,
Andrea Gambuzza, Davide Lorenzo Palla, Miro Landoni
scene e costumi Maurizio Balò
Come noto, Molière ebbe il coraggio di iniziare un nuovo genere di teatro, che descriveva senza veli i costumi del suo tempo. I suoi personaggi, presi dalla vita di tutti i giorni, erano avari, sciocchi, ipocriti scaltri, misantropi, ma tutti avevano in comune un pregio: erano vivi, veri e, per di più, comici. Sembrerebbe che il Duca di Montasieur, precettore del Delfino di Francia, avesse minacciato Molière di bastonarlo per averlo preso a modello come l’Alceste, protagonista de Il misantropo salvo poi a cambiare idea e ringraziarlo dell’onore concessogli. Sin dal loro primo apparire sulle scene, le commedie di Molière piacquero al pubblico proprio per la novità che rappresentavano anche se, come nel caso citato, egli raramente inventava trame e soggetti originali, sfruttando piuttosto il patrimonio di autori vissuti prima di lui. La sua grandezza è quella di far diventare le storie comuni storie universali, valide per ogni epoca e località. Il misantropo è allora la storia di chi, contro il parere e i consigli degli amici, non scende mai a compromessi, pone sempre la sincerità al di sopra di tutto, anche a costo di urtare le varie e deboli personalità col rischio, quindi, di perdere ogni possibile protezione. È questo il retroterra che uno dei nostri più importanti registi affronta con questa nuova messa in scena, accostandosi per la prima volta a un Molière, in un percorso di collaborazione con il Teatro di Roma che ha già visto altre importanti tappe come, Tre sorelle, Porcile, Finale di Partita, Quando si è qualcuno, Questa sera si recita a soggetto. Nel ruolo di protagonista Massimo Popolizio, un’altra presenza che, così come quella di Castri, segna la continuità di un rapporto di lavoro e di ricerca con due tra i più importanti artisti della scena teatrale italiana.
LA TRAMA
Alceste ama soprattutto la verità, disprezza il compromesso, la finzione e quasi tutta l’ umanità. A Filinto, suo amico, Alceste spiega che pur avendo una lite giudiziaria in corso non farà niente per ottenere un giudizio favorevole. Alceste si inimica Oronte perché giudica pessimo un suo sonetto e si innamora non della sua bella e virtuosa cugina ma di una maldicente civetta. Quando i pretendenti di Célimène, la civetta maldicente, capiscono la realtà delle cose, abbandonano la donna: solo Alceste le propone di andare a vivere con lui in provincia, ma la donna rifiuta. Alceste, sconfitto da ogni parte ma non piegato, si ritira a vivere da solo in una disgustosa misantropia.Goldoni, Goethe e molti altri ritengono questa commedia il capolavoro di Moliere. “ Raramente il riso ha manifestato tanta capacità di esercitarsi drammaticamente su una realtà umana, etica e sociale ad un tempo”
L’AUTORE
Pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin (Parigi 1622-1673), commediografo e attore, era figlio di un ricco borghese parigino che lo aveva destinato a una carriera giuridica, nel 1643 decise di disattendere al volere del padre e di dedicarsi al teatro. Assunto il nome d’arte di Molière fondò, insieme all’amante Madeleine Béjart e alcuni suoi parenti e amici, la compagnia dell’Illustre Théâtre, di cui assunse la direzione. Dopo il debutto parigino la compagnia, schiacciata dalle difficoltà economiche, dovette lasciare la capitale; ma non fu sufficiente, e nel 1645 Molière venne imprigionato per debiti. In seguito, e per lunghi anni, la compagnia attraversò la Francia, stabilendosi per un certo periodo nel Languedoc, sotto la protezione di personaggi influenti del luogo. Nel 1653 Molière presentò a Lione la prima delle sue commedie a noi note, Lo sventato, a cui seguì, nel 1656, Il dispetto amoroso. Ben presto, perso il sostegno dei protettori rientrò a Parigi dove, grazie al favore del duca d’Orléans, recitò dinanzi a Luigi XIV e alla corte. Con Le preziose ridicole (1659) ebbe inizio la sua carriera di autore; l’anno seguente rappresentò Sganarello o il cornuto immaginario.
Per diretta concessione del re, si insediò definitivamente al Palais Royal, dove presentò, con scarso successo, la commedia eroica Don Garcia di Navarra (1661), scritta per l’ambizione di riuscire anche nel genere nobile. L’insuccesso lo convinse a dedicarsi al genere comico: genere che esplorò in ogni sua forma, dalla farsa alla commedia, e che lo consacrò autore di fama. Con La scuola dei mariti e con la commedia-balletto Gli importuni (1661) Molière ottenne il consenso generale, ma anche la gelosia di numerosi rivali, che si manifestò in tutta la sua violenza al trionfo di una delle sue migliori commedie, La scuola delle mogli (1662). Nel 1665 il re ufficializzò la sua protezione nei confronti della compagnia di Molière, ominandola "compagnia reale". Gli anni seguenti furono estremamente fecondi: Molière compose Il misantropo (1666), la sua commedia più seria, dove talvolta la comicità è offuscata dalla dimensione tragica, L’avaro, Anfitrione, tratto da Plauto, Georges Dandin (tutt’e tre del 1668) e Le donne saccenti (1672). Nel 1669 finalmente poté rappresentare, con enorme successo, Tartufo o l’impostore. Tra il 1664 e il 1672 il re commissionò a Molière quindici opere teatrali, per un totale di circa duecento rappresentazioni. Un genere particolarmente in voga presso la corte era quello della commedia-balletto, spettacolo composto di musica, danza, teatro. Molière ne compose diverse, alcune delle quali su musiche di Lully: La principessa di Elide (1664), L’amore medico (1665), Il signor di Pourceaugnac (1669), Gli amanti magnifici e Il borghese gentiluomo (1670). Molière fu presto soppiantato da Lully, al quale un privilegio del re assicurò l’esclusiva per la rappresentazione di opere cantate e ballate; ottenne tuttavia un permesso speciale che lo autorizzava a inserire scene musicali e coreografiche nel Malato immaginario, andato in scena il 10 febbraio 1673. Fu un trionfo, come pure la sua ultima commedia: nel corso della quarta replica, il 17 febbraio 1673, Molière fu colto da un attacco cardiaco e morì poco dopo.
UN TEATRO SEMPRE ATTUALE
Malgrado tutte le difficoltà, morali e materiali, Molière godette di uno straordinario successo presso il pubblico, la corte e altri scrittori, grazie alla capacità di realizzare una sintesi di tutti i generi del teatro comico: la farsa, la Commedia dell’Arte e la commedia psicologica. La farsa aveva occupato un posto importante nel teatro comico nei secoli XV e XVI. Essa rappresentava, con pochi personaggi e un intrigo lineare, situazioni ispirate alla vita quotidiana (scene di vita coniugale, adulteri, furti, inganni) ed era fondata su una comicità d’azione (travestimenti, inseguimenti, bastonate) che sfociava in un ribaltamento finale della situazione. I personaggi rappresentavano tipi umani dai caratteri ben definiti: la moglie infedele, il commerciante imbroglione, il monaco corrotto (moine bourru). Della commedia italiana utilizzò soprattutto lo stile di recitazione: nella maggior parte delle sue interpretazioni appariva truccato, moltiplicando, grazie alla mimica, alle acrobazie e alle smorfie, gli effetti comici e grotteschi. Molière stesso diede al nuovo tipo di commedia da lui creato il nome di grande comédie, inaugurata con La scuola delle mogli. Le sue opere, circa una trentina, diverse per genere, sono quasi tutte fondate sulla comicità che nasce spesso dalla rappresentazione, caricaturale e deformata, della società dell’epoca. La satira e la critica colpiscono nei loro difetti soprattutto i notabili, coprendoli di ridicolo: medici ciarlatani, ipocriti, pedanti, mariti gelosi, falsi intellettuali e falsi devoti, nobili corrotti. Questi personaggi, nati dall’osservazione degli uomini e della società del tempo,
assumono, grazie all’esagerazione e alla deformazione operate da Molière, un carattere universale e diventano tipi dai caratteri definiti, o meglio, archetipi. La varietà caratterizza anche lo stile di Molière, che attribuisce a ogni personaggio e a ogni situazione il proprio linguaggio, con una grande mescolanza di toni e di registri che vanno dalla parlata popolare a quella raffinata, ai gerghi dei medici o dei giuristi: toni che, uniti nell’intreccio, contribuiscono in modo decisivo all’esplosione della comicità.