ZIO VANJA
di Anton Cechov
regia Andrei Konchalovsky
Aldo Miguel Grompone
Con: Alexander Domogarov, Pavel Derevyanko, Julia Vysotskaya, Alexander Philipenko, Sanko Yola, Maria Poroshina
Teatro Accademico di Stato im. Mossoveta
direzione artistica Pavel Khomsky, artista del popolo della Federazione Russa
Valentina Panfilova onorevole cancelliere del Lavoro della Federazione Russa
Centro di produzione di Andrei Konchalovsky
Tournée realizzata in collaborazione con Gazprom Export ed ENI
sostenuta dal Mnistero della Cultura della Federazione Russa
Sopratitoli in italiano a cura di Prescott Studio, Firenze
NUOVA PRODUZIONE
Il regista Andrei Konchalovsky, noto cineasta ma anche apprezzato regista teatrale torna con Zio Vanja, un altro testo di Cechov dopo Il gabbiano, che aveva già portato in scena in lingua russa e con sovratitoli in italiano.
Scritto nel 1897, Zio Vania è uno dei capolavori assoluti del teatro cechoviano. Nei quattro atti, già oggetto di una trasposizione cinematografica realizzata da Konchalovsky nel 1970, si intrecciano le monotone conversazioni e le banalissime vicende di un gruppetto di personaggi. La ricostruzione minuziosa di atmosfere sospese e vagamente inquietanti, l’indifferenza abulica dei personaggi intorno agli eventi, l’indefinito senso di attesa di una catastrofe incombente rendono questo testo una geniale anticipazione della drammaturgia novecentesca.
Note “Zio Vania”
Quando mi chiedono perche’ proprio Zio Vania o in che cosa consiste l’attualità di Cechov, penso con tristezza che non lontano è il tempo in cui i giornalisti chiederanno a Riccardo Muti in che cosa consiste l’attualità di Mozart o perchè Gherghiev esegue proprio la Nona Sinfonia di Shostakovich.
Cechov è una Sinfonia.
La sinfonia di vita. Di una vita che non è piena di avvenimenti tragici, opere grandiose o moti dell’animo; di una vita in cui gli Eroi non ci sono, ma di una vita semplice, « grigia, filistea… » come diceva lui stesso.
L’uomo non è in grado di guardare fissamente la luna per vedere come tramonta dietro l’orizzonte. L’uomo non è capace di fissare con lo sguardo un albero per vedere come si ingiallisce.
Pure a noi non è dato guardare la vita per vedere come la vita conduce alla morte. Però sappiamo che la luna tramonta, che un albero si ingiallisce e perde le foglie e che la vita giunge alla fine.
Cechov come artista fu in grado di vedere e discernere la vita come nessuno altro nella storia dell’arte. Propriamente parlando, Cechov fu il fondatore del dramma moderno che subentro’ alla tragedia romantica del XIX secolo.
E’ facile volere bene agli Eroi di talento che non sono prostrati dal dolore o dalla vita stessa. E’ difficile volere bene ai filistei mediocri, incapaci a un atto eroico. Cechov vuole bene proprio a questa gente, perchè sa che anch’essa morirà. Lui stesso espresse molto precisamente la sua concezione dell’arte : «In scena la gente pranza, prende il te’, mentre la sua fortuna si sta rovinando ».
Andrei Konchalovsky
Andrei Konchalovsky
nasce a Mosca, il 20 agosto 1937 dallo scrittore Sergej Michalkov poeta (il padre è autore del testo dell’inno nazionale russo) e della poetessa Natalija Koncaloskaja. Suo fratello è Nikita Michalkov.
Da giovane si afferma come pianista, anche se la sua grande passione rimane il cinema. Qualche anno dopo si iscrive alla VGIK, una delle migliori scuole di cinema del Paese, sotto la guida di Mikhail Romm.
Alla VGIK incontra Tarkovsky, con cui collabora come sceneggiatore (fa anche l’attore nel film L’infanzia di Ivan).
Il 1966 è l’anno del suo debutto alla regia con Il primo maestro, tratto dal racconto di C. Ajtmatov e ambientato dopo il 1917, nel periodo post-rivoluzionario, nel sud della Russia.
Dopo svariati problemi con la censura, il regista si dedica alla trasposizione cinematografica di opere letterarie. Ne sono un esempio Nido di Nobili (1969), da Turgeney, e Zio Vanja (1970), da Cechov.
Con Romanza degli innamorati (1974) e Siberiade (1978), storia drammatica della popolazione siberiana, torna ai temi contemporanei, attirando l’attenzione della critica europea e americana. Tra gli anni ’80 e i primi anni ’90, trasferitosi negli Stati Uniti, lavora a diverse opere tra cui Maria’s Lovers (1984), A 30 secondi dalla fine (1986), Sky People (1987), Homer and Eddy (1989), Tango e Cash (1991), Il proiezionista (1992).
Tornato in Russia dopo la caduta del comunismo, dirige Asja e la gallina dalle uova d’oro. Dopo alcuni anni si dedica a grandi lavori come l’Odissea, con Armand Assante, La casa dei matti e The Lion in the Winter, con una strepitosa Glenn Close. Il 2007 è l’anno di Venezia, in cui collabora assieme a numerosi colleghi a A ciascuno il suo cinema.
Artista estroso e a suo modo visionario, esprime anche grazie ai molti registri e alle diverse anime che popolano il suo cinema le ansie e le contraddizioni della Russia contemporanea.
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