PAOLO PANARO
La follia di Orlando
fuori abbonamento
Dal poema di Ludovico Ariosto
ridotto e interpretato da Paolo Panaro
Messer Ludovico, dove le avete
mai pescate tutte queste castronerie?
Cardinal Ippolito d’Este
Lo spettacolo La follia di Orlando è tratto dal Furioso di Ludovico Ariosto, il più noto dei poemi cavallereschi della letteratura italiana. E’ un’opera molteplice, complessa, proteiforme, in perenne movimento. Frutto di una elaborazione trentennale, è il poema di tutta una vita. In esso vi è teatralizzata mnemonicamente l’intera esistenza dell’autore. Libro di memoria, fatto di musica e di parole, che si propone di raccontare la vita, individuale e collettiva, di tutti e di ciascuno, de le donne, i cavallier; l’arme, gli amori/le cortesie, l’audaci imprese, trasfigurandoli in simbolici personaggi immersi in una mitica dimensione atemporale.
Cose, parole, fatti, già ampiamente usati da una plurisecolare tradizione epico-cavalleresca, che parte dai cantari medioevali e arriva al raffinato Orlando Innamorato di cui il Furioso è programmaticamente il prosieguo, assumono nell’opera di Ariosto un aspetto e una forza inediti: la fabula si fa romanzo e il verso si trasforma in teatro. E’ una meravigliosa macchina narrativa che mette in scena, con ironia e lievità, lo spettacolo dell’uomo immerso in un universo sconosciuto dove infuria furibonda la lotta fra Caos e Cosmo. Donne e cavalieri, re e vassalli, cristiani e infedeli, corrono freneticamente per gli infiniti spazi del poema, attraverso un mondo che si va sfaldando sotto i colpi di venti impetuosi, tempeste improvvise, incendi infernali e tante altre efficaci metafore delle labili ma fortissime passioni umane al servizio del Caos primordiale. Ma, sorprendentemente, è solo grazie al bisogno umano di avventure e al Disordine portato nella vita degli individui dall’eros, che è dato all’uomo il mezzo per indagare e perimetrare l’universo sconosciuto. Si entra nel Furioso inconsapevoli, e dopo che, alla fine, l’ultima ottava è stata cantata, se ne viene fuori storditi da una sensazione di vastità, di affollamento e di ribollio della scena.
Si è scesi nel Caos e si riemerge nel Cosmo; ci si è perduti nell’indistinto primordiale per ritrovarsi in un nuovo, inatteso ordine dell’universo, dove si scopre che Ordine e Disordine scaturiscono inevitabilmente l’uno dall’altro, convivendo in un lieve armonico gioco di equilibri cosmici.
Delle innumerevoli storie che costeggiano e incrociano lo strabordante flusso narrativo dell’Ariosto, si è scelto ne La follia di Orlando di privilegiare la vicenda del tempestoso amore di Orlando per la perduta Angelica. Mentre i Mori in Francia assediano i cristiani, Orlando abbandona la guerra e si mette alla ricerca di Angelica. Una tempesta lo porta in Olanda dove incontra la bella Olimpia che gli racconta la sua storia infelice. Orlando decide di aiutarla: sconfigge il crudele re Cimosco e la consegna all’amato Bireno. Orlando riparte alla volta dell’isola d’Ebuda, convinto che la sua Angelica sia lì prigioniera. L’isola è tristemente famosa perché i suoi abitanti, crudeli pirati, ogni giorno rapiscono una donzella e la offrono in sacrificio a un’orrenda orca marina. Orlando uccide l’orca e scopre che la donna che stava per essere offerta in pasto al mostro marino quella mattina è Olimpia. La donna gli racconta di come Bireno l’abbia abbandonata su un’isola deserta e, catturata dai pirati, sia stata offerta in sacrificio all’orca. Intanto è appena sbarcato sull’isola il re d’Irlanda, il quale dopo aver fatte strage degli abitanti d’Ebuda, sedotto dalla nudità d’Olimpia, se ne innamora perdutamente. Parigi, nel frattempo, sotto assedio, rischia di cadere ma Rinaldo giunto con truppe inglesi salva la città. Quella stessa notte Angelica passando per il campo di battaglia scorge un giovane in fin di vita, Medoro. Lo porta in salvo, lo cura, se innamora perdutamente e con lui torna nel lontano Catai. Ma il caso vuole che nella sua infinita peregrinazione, Orlando giunga proprio nella foresta che è stata cornice degli amori di Angelica e Medoro. Alla vista dei segni lasciati ovunque dai due felici amanti, il paladino perde il senno e comincia a portar distruzione ovunque giunga. A questo punto, entra in scena Astolfo che in groppa all’ippogrifo raggiunge le misteriose sorgenti del Nilo nei pressi del quale si erge la montagna del paradiso terrestre. Da qui Astolfo, con l’aiuto di san Giovanni, parte per il regno della Luna, dove si va a raccogliere tutto quello che sulla nostra Terra è da noi smarrito. In una ampolla vi scopre il perduto senno d’Orlando. Torna sulla terra e ritrovato il folle Orlando, gli restituisce la ragione.
Attore e regista teatrale, Paolo Panaro si diploma nel 1988 presso la Scuola di Interpretazione ed Espressione Scenica diretta da Orazio Costa Giovangigli. Come attore ha preso parte a diversi sceneggiati radiofonici prodotti dalla RAI. Insegna dizione e recitazione presso associazioni ed enti culturali. Collabora come insegnante e regista presso i Teatri delle Università di Bari e Sassari. Come attore ha preso parte a numerosi spettacoli teatrali, di cui, in seguito, si ricordano i più importanti: I Fiori del male da C. Baudelaire, regia di Walter Pagliaro; Punti di vista e considerazioni di Johannes Kreisler e di Lady Psiche Zenobia da E.T.Hoffmann e E.A.Poe, regia di W.Pagliaro; Lo strano caso di via Lorcine di E.Labiche, regia di Walter Pagliaro; La gatta Cenerentola di Roberto de Simone, regia del medesimo; Omaggio a Nietzsche, regia di D.Abbado; Peer Gynt di Ibsen, regia P.P.Pacini. Parallelamente all’attività di attore e regista, Paolo Panaro, in questi ultimi quindici anni, si è specializzato nella disciplina teatrale della narrazione scenica. Ha studiato e recuperato, attraverso un accurato studio, i modi e le tecniche degli antichi cantastorie europei, in particolar modo analizzando il cunto siciliano e le fabulazioni padane. E’ dunque pervenuto a una personalissima competenza performativa, che gli ha permesso di creare spettacoli di narrazione scenica che spaziano dai testi antichi fino a romanzi contemporanei. Come gli antichi contastorie, Paolo Panaro continua nel segno della tradizione a raccontare per un pubblico che ha voglia di sentire storie e lasciarsi ammaliare. Ma al contempo, non trascurando le nuove istanze poetiche e artistiche, il suo lavoro si concentra sull’innovazione del repertorio e sulle nuove tecniche attoriali. Suo intento è creare un repertorio narrativo basandosi soprattutto sulla letteratura moderna.
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