«Questo spettacolo è l’ultima pura gioia che il teatro mi abbia dato».
È una duratura e magnifica ossessione, quella di Welles per Moby Dick: una passione che riuscì a trovare compimento il 16 giugno 1955, al Duke of York’s Theatre di Londra, quando l’artista americano riuscì finalmente a mettere in scena la sua lotta simbolica con i bianchi leviatani di Melville.
Lo attendevano un palco vuoto e spoglio e una sala piena di spettatori: fu un successo strepitoso e Welles commentò dicendo «[…]questo spettacolo è l’ultima pura gioia che il teatro mi abbia dato». Un evento straordinario, nel quale tuttavia il regista preferì non dare al pubblico né mare, né balene, né navi. Sulla scena nuda mise solo un’affiatata compagnia di attori, della quale faceva parte ricoprendo quattro ruoli diversi (Achab compreso), e affidando alle loro voci il testo, sul quale aveva lavorato per mesi.
Vinse la sfida impossibile di portare in scena il romanzo di Melville, gettando un ponte tra il Re Lear di Shakespeare e il capolavoro della letteratura americana, scivolando dall’ostinazione di Lear – che la vita, atroce maestra, infine redimerà – a quella irredimibile, fino all’ultimo istante, dell’oscuro e tormentato capitano Achab.
Informazioni sullo spettacolo
12.03.2024 - h 20:30 - Teatro Ariosto (Primo turno)
13.03.2024 - h 20:30 - Teatro Ariosto (Secondo turno)
2 ore e 20
Platea e Balconata I e II ordine centrale
€ 25,00
Balconata I e II ordine laterale
€ 20,00
Galleria
€ 20,00
Riduzioni
Iscritti Unimore > 50%
Under 30 > 30%
Amici dei Teatri > 20%
Over 65 > 15%
Gruppi (più di 15 persone) > 15%
Anche lui, come Kurtz in Cuore di tenebra, per devastare la Natura è pronto a soggiogare i suoi simili trasformandoli con estrema facilità in uno strumento del proprio odio; il suo è un vitalismo rapace, prepotentemente – ma non esclusivamente – occidentale, e rappresenta quella metà (sempre più esigua) dell’umanità che ci sta conducendo al disastro, al fondo di quel gorgo mortale che alla fine inghiotte la baleniera.
Questo testo parla di noi, oggi. E ci parla come solo l’arte sa fare, cogliendo il respiro dei secoli – tra passato e futuro – nei sospiri di ogni istante della nostra vita. Siamo di fronte alla sesta estinzione di massa, al riscaldamento globale, vicinissimi all’orlo del baratro, ma in costante accelerazione, e continuiamo a generare odiatori, novelli Achab, forse meno mitici e tormentati ma altrettanto ferali.
Da vent’anni a questa parte – dal G8 di Genova e dalla follia che offese i corpi di chi aveva a cuore il destino del pianeta e dei popoli, per arrivare fino ad oggi – sono l’odio e la nostra tracotanza ad aver generato i mostri peggiori e sono questi che giorno dopo giorno ci stanno trascinando verso il naufragio.
Elio De Capitani
Foto di Marcella Foccardi
Crediti
di Orson Welles
Adattato – prevalentemente in versi sciolti – dal romanzo di Herman Melville
traduzione Cristina Viti
uno spettacolo di Elio De Capitani
con Elio De Capitani, Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Di Sacco, Vincenzo Zampa
costumi Ferdinando Bruni
maschere Marco Bonadei
musiche dal vivo Mario Arcari e Francesca Breschi
luci Michele Ceglia, suono Gianfranco Turco
assistente regia Alessandro Frigerio
assistente scene Roberta Monopoli
coproduzione Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale