L’INTERVISTA
L’intervista è l’ultima delle nove opere prodotte da Natalia Ginzburg per il teatro, che annovera tra i suoi più importanti allestimenti quello di Luchino Visconti e di Laurence Olivier.
La Trama
È il 1978, Marco Rozzi (Valerio Binasco), giovane giornalista, arriva in una casa di campagna per realizzare un’intervista a un importante studioso, Gianni Tiraboschi, oggetto della sua giovanile ammirazione. Ma ad accoglierlo troverà solo Ilaria (Maria Paiato) e Stella (Azzurra Antonacci), rispettivamente la compagna e la sorella di Gianni Tiraboschi. Nella vana attesa del suo interlocutore, Marco si intrattiene con Ilaria, e tra di loro si crea un’intimità non cercata che li porta a rivelarsi l’un l’altra le proprie ingenue ambizioni. A distanza di poco più di un anno la scena si ripete: di nuovo la mancata intervista, e di nuovo tra Marco e Ilaria nasce uno scambio semplice ed intenso sui sogni e le sconfitte della vita.
L’incontro tra Marco e Gianni Tiraboschi avverrà solo dieci anni dopo, quando Marco avrà abbandonato il giornalismo e perso ogni interesse all’intervista e Tiraboschi si sarà ritirato dalla vita pubblica in seguito a una crisi depressiva, ma noi qui non lo vedremo.
Attraverso una scrittura teatrale vivace e sfrontatamente fragile, attenta ai piccoli gesti di vita quotidiana e sempre carica di ironia, la Ginzburg ci racconta l’atmosfera dell’Italia degli anni compresi tra il 78 e l’88: anni importanti per un’Italia in cui tutto si dissipa e muore e ciò che resta è il desiderio confuso di mettere in salvo qualcosa che è stato bello e nobile.
Nel luglio del 1989 Natalia Ginzburg, parlando del testo nell’introduzione alle proprie commedie per Einaudi, scrive: "Ho scritto questa commedia nello scorso agosto. Da un po’ di tempo avevo l’idea di fare una commedia dove una persona, uomo o donna, arrivava in una casa per intervistare qualcuno, uomo o donna, non sapevo bene. (…) Poi l’idea che avevo mi si è precisata. I personaggi dell’intervista erano una donna e un uomo, però l’intervista era una sorta di intervista-fantasma, e reale era soltanto il rapporto che si creava fra quella donna e quell’uomo, l’intimità casuale e involontaria che nasceva fra loro, involontaria e impreveduta sia dall’una, sia dall’altro. Avevo in testa il luogo, una casa di campagna piuttosto vecchia, cadente e in disordine, e dopo alcune false partenze, la commedia è venuta fuori. L’intervista è come ho detto, un’intervista-fantasma e forse diventerà reale quando chi l’ha chiesta non la desidera più affatto e anzi ne ha spavento. Non ho voluto per nulla illuminare il mondo del giornalismo di oggi, ma piuttosto volevo che apparisse in qualche modo l’Italia di oggi, dove tutto si dissipa e muore e ciò che resta è il desiderio confuso di mettere in salvo qualcosa che è stato bello e nobile, qualcosa che è degno di sopravvivere alla dissipazione e alla distruzione. Il personaggio di Ilaria è nella commedia la figura che si rifiuta di accettare la distruzione. È un essere che sa conoscere la forza del dolore, del sacrificio e della dedizione. Il giornalista, Marco è un essere ingenuo, maldestro, con ambizioni ingenue, destinate a venir deluse sul nascere, ma è un essere dotato di pietà e all’ultimo anche capace di conoscenza adulta, sincera e veritiera della vita. Le figure che non compaiono mai sulla scena ma sono evocate di continuo – un uomo politico, le sue donne e le loro vicende – sono figure di sconfitti. L’intervista è una storia di sconfitti. Li salva e manda luce quello che ciascuno ha cercato di fare, anche se non può in alcun modo chiamarsi una vittoria."
Note di regia
L’Intervista mi ricorda certe favole. Le tre scene che la compongono, quasi uguali e nella struttura e nella musicalità delle frasi, creano l’effetto di un rituale comico: passano mesi e anni, ma ogni volta che i tre personaggi si incontrano succedono sempre le stesse cose, si dicono quasi le stesse parole secondo una scansione rituale un po’ più assurda della vita stessa. Ma tale ritualità non ha quasi peso, perché la grazia e l’umorismo dolce della Ginzburg poco si adattano a fardelli stilistici esposti. L’assurdo, in lei, non è una provocazione intellettuale. È semplicemente un destino possibile. Probabilmente l’unico. L’assurdo, in lei, è innocente.
Come una favola, L’Intervista ha almeno due livelli di lettura: uno riguarda i personaggi e le loro peripezie; l’altro riguarda qualcos’altro, più o meno segretamente nascosto nel testo. Ed è un pensiero rivolto all’Italia. L’Intervista non racconta solo dieci terribili anni della vita di quattro personaggi, ma attraverso le loro vite ci fa percepire fortissimamente anche che cosa siano stati quegli stessi anni per la nostra nazione. Dal 1978 al 1988.
Ci sono quattro personaggi, di cui uno che non si vede mai. Il personaggio assente, Giovanni Tiraboschi, è per me il protagonista occulto della pièce. Assomiglia ai grandi uomini dell’Italia di ieri: vitali, facondi, seducenti e colti.
I tre protagonisti ’reperibili in scena’ sono tre persone qualunque legate al grande assente, ognuno a modo suo, che si incontrano in una vecchia villa toscana, di sua proprietà. Tutti e tre aspettano il ritorno di Tiraboschi, e mentre aspettano chiacchierano. Dato che non tornerà mai, chiacchiereranno molto, e i loro destini finiranno per intrecciarsi in modo divertente e rocambolesco. Questa è una splendida commedia di chiacchiere: la Ginzburg è una grande scrittrice di chiacchiere. E infatti i suoi sono personaggi ritratti con vera maestria psicologica, e scenica, e molta ’vita’ è nascosta sotto le battute–fiume, tanto che si potrebbe cedere alla tentazione di interpretare la pièce in modo naturalistico. Ma qui si sceglie una via diversa: quella di lavorare sulla recitazione, rendendola vibrante e sensitiva, in modo da restituire (percependole in modo nuovo) le parole, farle guizzare di interiorità come esperienze fulminee, cariche di elettricità come note di Mozart. Questa musicalità è il segreto da conquistare. È una musica da suonarsi anche con gli occhi, con le mani, con i pensieri intimi degli attori. È una musica che, misteriosamente, fa ridere: e infatti si ride delle parole di Ilaria, Marco e Stella, e dei loro buffi destini, mentre, fuori dalla finestra, il mondo. Valerio Binasco.
Valerio Binasco – È uno degli attori-registi teatrali più apprezzati della "nuova" generazione: diplomato presso la Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova nel 1988, dove ha iniziato a lavorare come attore con Marco Sciaccaluga, Valerio Binasco ha collaborato a lungo ai progetti artistici di Franco Branciaroli e da molti anni lavora con Carlo Cecchi (ricopre il ruolo del protagonista anche nell’ultimo spettacolo, Tartufo di Molière). Ha ricevuto il Premio Linea d’ombra e il Premio Ubu quale miglior attore giovane per l’interpretazione di Amleto (regia Carlo Cecchi) ed è stato prescelto per i Premi Olimpici del Teatro e il Premio Ubu quale miglior attore non protagonista per Edipo a Colono (regia Mario Martone). Con Cecchi ha interpretato il ruolo di Clov nello spettacolo (premio Ubu) Finale di partita di Beckett. Lavora anche per il cinema (tra gli altri film: Lavorare con lentezza con V. Mastrandrea, Texas di F. Paravidino, La bestia nel cuore di C. Comencini) e per la radio. Alterna l’attività di interprete e di regista, e anche nel secondo ruolo ha meritato molti riconoscimenti: tra gli spettacoli da lui diretti ricordiamo La chiusa di Conor Mcpherson, Il cortile di Spiro Sciamone, Cara Professoressa di Ludmilla Razumovskaja, Ti ho sposato per allegria di Natalia Ginzburg. È tra i protagonisti del nuovo film di F. Ozpetek Un giorno perfetto (nel ruolo dell’onorevole Elio Fioravanti) e del film (cinema e tv) Il sangue dei vinti dal libro di Pansa con la regia di Soavi, presentato alla Festa del cinema di Roma. Nella stagione in corso, dopo Qualcuno arriverà al Teatro Stabile di Genova e lo spettacolo prodotto dal Teatro di Roma E la notte canta, con Un giorno d’estate, prodotto dal Teatro Eliseo di cui è regista stabile per il triennio 2009-2011, Valerio Binasco ha completato la trilogia dedicata all’autore norvegese Jon Fosse. Attualmente è anche impegnato nelle riprese del film Noi eravamo, coprotagonista con Luigi Lo Cascio, regia di Mario Martone.
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