LE SMANIE PER LA VILLEGGIATURA
TEATRO ARIOSTO
Teatro degli Incamminati
Teatro Comunale Ebe Stignani di Imola
Diablogues Le belle bandiere
di Carlo Goldoni
diretto da Elena Bucci , Stefano Randisi, Marco Sgrosso, Enzo Vetrano
luci Maurizio Viani
costumi Andrea Stanisci
Venerdì 17 febbraio ore 21 – turno verde Sabato 18 febbraio ore 21 – turno blu Domenica 19 febbraio ore 15,30 – turno rosso
La collaborazione artistica tra le nostre due compagnie – che ha dato origine al fortunato progetto triennale di rilettura e reinvenzione dei testi classici ‘Il berretto a sonagli’, ‘Anfitrione di Molière’ e ‘Il mercante di Venezia’ – ci ha permesso di creare una compagnia solida, in grado di reggere un ‘repertorio’ e che assomiglia a quelle della tradizione ‘all’antica italiana’. Siamo registi di noi stessi e degli altri attori, ma siamo anche in scena, garantendoci così una continua freschezza e verifica dello spettacolo, pur nel corso delle tante repliche che affollano il nostro calendario. Allo stesso tempo, pur provenendo da un teatro di ricerca che ha preteso giustamente dagli attori consapevolezza, cultura e autonomia nel proprio fare, ci sentiamo alieni dai pericoli di un eccessivo intellettualismo che spesso – in periodi di scarsa cultura teatrale – allontanano il pubblico dal piacere del teatro. Cerchiamo di restare vicini alla concretezza e ai particolari della scena, a tutto ciò che di indicibile si scopre solo durante le prove, quando i testi del passato rivelano la loro grande attualità confermando una vicinanza tra gli umani che annulla il tempo. Tentiamo anche di avvalerci di collaborazioni – sia per quanto riguarda i tecnici che gli attori – che durino nel tempo, per costruire un alfabeto comune e un’affine sensibilità etica e artistica. Prendendo atto di ciò che siamo, ci siamo resi conto che il percorso di rilettura dei classici non soltanto non era finito, ma anzi si apriva a nuove possibilità. L’appuntamento che ci attendeva era quello con l’italianissimo Goldoni, che allo stesso tempo riesce ad essere l’erede apparente della grande tradizione della commedia dell’arte italiana e il suo magistrale traditore. Ha dato una forma definitiva ai misteriosi canovacci, limitando l’arbitrio degli attori, pur offrendo loro personaggi e ruoli meravigliosi, ha rubato e modificato gli esilaranti meccanismi teatrali dando loro un segno che, partendo dal puro divertimento, ha trasformato i suoi testi in brucianti manifesti e denunce di una crisi sociale e umana vissuta come malinconia dai personaggi, ma che diventa tragica ai nostri occhi. Alla fine della rilettura delle ‘Smanie per la villeggiatura’ – che non lascia un attimo di respiro per il ritmo incalzante dei duetti, dei rovesciamenti, delle battute -, si arriva a percepire un senso di vuoto e di sgomento. Quell’affannarsi intorno a futili problemi, quell’enorme dispendio di tempo, sentimenti e denaro in funzione dell’apparire, quell’intrecciarsi di rapporti incendiati dalla rivalità e dall’ipocrisia, dove l’amore e la passione prendono la forma quieta del dovere e della rispettabilità, e l’odio si traveste di smancerie, assomiglia tanto ai modelli di vita che la nostra cultura del quotidiano ci offre attraverso la finzione televisiva, che talmente permea le nostre vite da diventare reale, e trasmigrare nel pensiero e nei comportamenti. Ancora una volta, la denuncia antica, attraverso una grande arte, parla attraverso il tempo, ci dimostra come il progresso non sia continuo ma possa subire imprevedibili rovesciamenti all’indietro, se solo si allenta l’attenzione e la tensione a migliorare ciò che ci è dato. Divertendoci, intrigandoci, Goldoni dolorosamente ci ammonisce, ma senza pedanteria. La normalità dei suoi personaggi, l’apparente banalità delle loro motivazioni ci dice che siamo tutti vicini al rischio di essere pallidi e ridicoli fantasmi di uomini e donne, simulacri agitati da passioni piccole e meschine, prigionieri di desideri che ci portano lontani dalle grandi mete che potremmo raggiungere. Ritroviamo il filo dell’ispirazione che ci ha guidato nei precedenti lavori, la follia travestita da normalità, il contrasto tra essere e apparire, le pulsioni dell’individuo in guerra con l’ordine cristallizzato del mondo sociale. Tutto questo ci affascina e ci porta a voler indagare questo testo che ha tutte le qualità per diventare un teatro ‘specchio del suo tempo’. Lo faremo nel nostro modo e con il nostro stile, rinunciando alle scenografie filologiche ed elaborate, ‘traducendo’ quell’italiano lontano – che allora era la lingua della quotidianità – in un parlare a noi vicino, ma mantenendo alcuni segni del mondo di Goldoni, così da suggerire una lontananza da favola che ci aiuti, come spesso accade, a leggerne i sensi più profondi. Non pensiamo quindi ad una attualizzazione, nè ad una messinscena realistica, ma ad una sorta di costruzione di un quadro antico, ad un album di fotografie ingiallite che possano all’improvviso animarsi e parlare con il linguaggio che sentiamo oggi per strada, nei bar, in televisione. Se gli oggetti della passione sono qui un abito alla moda, un pranzo, una cioccolata, un bel calesse, vorremmo che, pur usando queste stesse parole, diventassero simbolo dell’auto, dell’ultimo esemplare di un computer, dell’oggetto di design da esporre come un trofeo. Niente di nuovo. Niente che in teoria già non sappiamo. Ma vorremmo riuscire a ridere amaramente del nostro mondo occidentale e dei suoi modelli rassicuranti che scricchiolano oggi più che mai nel contrasto con altre culture poverissime che pretendono, anche con violenza, il loro diritto ad esistere. Allora non si era forse del tutto consapevoli che il nostro benessere causa necessariamente un malessere altrui, ma già era tangibile e sentito il senso di vuoto creato dalla corsa ad avere sempre di più, sostenuti da idee di decoro e dignità così gelide e funzionali da uccidere il sentimento. Ora abbiamo più strumenti per sapere e per comprendere, ma la paura di cercare oltre il quotidiano è altrettanto forte, così come la tentazione di stordirsi e di non guardare. Con questo lavoro ci piacerebbe ‘guardare’ in profondità con gli strumenti del comico, che ci permettono di accettare e comprendere le cose più amare senza perdere la voglia di cambiarle.
Elena Bucci, Stefano Randisi, Marco Sgrosso, Enzo Vetrano
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