LA BUSTA
LA BUSTA
Teatro di Messina – Compagnia Scimone Sframeli
Di Spiro Scimone
Regia Francesco Sframeli
Giovedì 22 marzo ore 21 turno verde Venerdì 23 marzo ore 21 turno verde Sabato 24 marzo ore 21 turno blu Domenica 25 marzo ore 21 turno blu
TEATRO CAVALLERIZZA
Un Signore riceve una busta senza motivo. Per conoscere il motivo si reca in un posto. In quel posto incontra il Segretario, il Cuoco e X.. L’atmosfera in quel posto è strana. I dialoghi sono serrati, spiazzanti e creano spesso effetti comici. Qualcuno ride, in quel posto. Ma un Signore non è in quel posto per ridere. Un Signore vuole solo sapere perché ha ricevuto una busta. Vuole conoscere il motivo. Ma deve aspettare per conoscere il motivo. La fine…Deve aspettare la fine. "La busta" è un testo teatrale che parla dei soprusi, delle discriminazioni, della violenza. Tra i personaggi descritti non ci sono solo le vittime di questa violenza, ci sono anche gli esecutori. Quelli che con la loro arroganza vogliono creare un mondo privo di valori, vuoto, finto, senza umanità. Un mondo che, purtroppo, è quasi la proiezione del nostro. "La busta" è un atto d’accusa contro questo mondo, contro questi personaggi. Ma i personaggi della finzione teatrale, anche quelli violenti, sono necessari; perché attraverso la loro rappresentazione si possono smascherare i personaggi disumani della realtà.
Spiro Scimone: si è tanto parlato di Pinter, poi s’è passati al nome di Beckett, ma forse prima di decidersi a scoprire che Spiro Scimone è Spiro Scimone e basta, o al massimo Scimone più Sframeli, bisognava mettere nel conto anche Kafka, e non solo nella sua ovvia qualità di progenitore dei due Nobel citati. Sembra infatti di trovarsi nei paraggi del Castello all’inizio di La busta, commedia drammatica che vede un personaggio chiamato significativamente "un signore" entrare in una stanza, contraddistinta da una sedia vuota, un armadio e dai gradini di una lunga scala, e chiedere di parlare col Presidente, presentandosi a un Segretario, che si sta guardando allo specchio e, per essere più sicuro del proprio ruolo, inforca gli occhiali. Perché quel signore vuole parlare con l’autorità? Perché dal Presidente avrebbe ricevuto "una busta" di convocazione, ma senza sapere che ricevere una simile busta potrebbe implicare un’accusa e in quella sede è realmente un indizio di colpa. Ma il suddetto signore si cala fin da questo inizio nel ruolo di indagato, quindi di colpevole, anche se poi tollererà, seppure con impazienza, il rituale di domande ripetitive a cui viene sottoposto, teso a porre in dubbio la buonafede con cui lui si attribuisce non solo un nome, ma anche quella faccia che figura sul documento d’identità destinato a comprovare la sua esistenza: una faccia da controllare rigorosamente allo specchio, mentre viene insinuato il dubbio che quel riconoscimento visivo possa venire invalidato da un’eventuale gemellarità e si tormenta l’inquisito con tentazioni di scambiare il viso con un ‘duro’. Del resto in quel luogo, dove non esistono kafkiane intermediazioni femminili e nessuno ha un nome, si viene chiamati con l’attributo professionale – e accanto al Segretario emergerà anche un Cuoco che ha l’aria di saperla lunga – o definiti appunto dalle facce: e circola anche un "uomo dalla faccia sospetta" da picchiare e invalidare subito "per impedirgli di commettere un reato", Esiste pure un misterioso Signor X che vive dentro un armadio e mangia in una scodella per cani attribuendosi un passato di ballerino, mentre ferve la ricerca di un "vero uomo" e un orologio emette a ore fisse delle urla strazianti per annunciare l’inizio e la fine di certe fantomatiche "lezioni di democrazia", particolarmente consone a un ambiente dove il Segretario mostra con orgoglio il manganello, dichiara entusiasta di amarlo e di andarci a letto e, appena può, lo infila nel posteriore dei sospetti. Ci si addentra così nell’ultima fase di questa pièce, completamente scritta in italiano, dove, per la prima volta nella storia creativa di Scimone, esplode scopertamente la violenza, che era già il sottinteso di Nunzio, stava tra le quinte di Bar e della Festa, e costituiva una premessa alla desolazione del Cortile. Basta il palesarsi della figura del Presidente per trasformare questo mondo fiabesco, votato comunque al paradosso e fino a questo punto disseminato di gag, in una palestra fradicia di orrori da guardare con disgusto: il passante viene incolpato di un assassinio mai commesso, incriminato senza prove, preso a pugni e colpito con manganellate in testa, costretto a stilare false confessioni, finalmente ucciso, appeso cadavere a un gancio e addirittura mangiato dal clan degli orridi esponenti dell’autorità tra bicchieri di whisky e foto cerimoniali. Ma a colpire allora è soprattutto l’immagine ghignante e degradata di un potere che purtroppo oltrepassa la fantasia per divenire un beffardo documento di una pratica di onnipotenza ben radicata nelle immagini di certi superbi arbitri della situazione mondiale, sotto il velo di un sorriso untuoso a cui potremmo dare senza fatica molte facce.