COMPAGNIA VIRGILIO SIENI
Un respiro
regìa, coreografia e luci Virgilio Sieni
con Simona Bertozzi e Ramona Caia
opere Flavio Favelli
musiche Francesco Giomi, Joe Hisaishi
assistente alla regia Carlo Cuppini
produzione 2006 Fondazione Teatro Ponchielli Cremona, Comune di Siena – Assessorato alla Cultura, Compagnia Virgilio Sieni
All’inizio un film videoproiettato: 1975, due bambine appaiono nell’indeterminatezza dell’immagine; una sequenza di giochi “tra di loro”, fisici, schematici, essenziali, ermetici, come tante piccole performance sulla musica del Pas d’action da Il lago dei cigni di Ciajkovskij.
Poi una stanza nera, un salone, un’unica fonte di luce. Una donna sola in scena che pratica esercizi fisici, introspettivi e figurativi nello spazio di un respiro, nella bolla pneuma, compresa tra l’inspirazione e l’espirazione. Una seconda donna — un doppio, una complice, l’ombra e l’anima.
Il lavoro si costituisce metricamente, secondo una disposizione dei silenzi. Un tempo preciso dove tutto si anima e tutto crolla nell’arco di 45 secondi ripetuti. 60 respiri — ognuno trova una sua traduzione in un gesto. La gesticolazione e l’apparizione della figura si offre esattamente come il balbettio della parola.
Elementi costitutivi e fondanti del lavoro derivano da due collaborazioni artistiche: il grande lampadario di cristallo Grande Oriente è opera dell’artista Flavio Favelli; il suono del respiro è stato realizzato con Francesco Giomi e Tempo Reale.
Qui vi è presenza di corpo, che non è la metafora dei rifiuti, ma un rimasuglio organico addobbato nell’atto assoluto di lasciarsi attraversare dall’aria, da un respiro che prima compone il corpo concavo per poi trovarlo incavo alla fine. Si sviluppa un vocabolario di gesti unici, depositati in uno spazio abbandonato. Spazio concepito attraverso i resti dei corpi e dei gesti, che portano allo stupore, alla solitudine, al conflitto, alla visione della morte, al non esserci. Un catalogo, bestiario della natura umana dai timbri marginali, apparentemente nascosti, rivela una metrica temporale agghiacciante, fredda tanto da sconfinare ogni volta in continue domande sul corpo, sull’essenza della figura umana.
Le figure che appaiono alludono a clown; con loro si narra di un tempo lentissimo, di esercizi sulla lentezza non fisica ma temporale, di gesti infimi e banali, di gesti balordi sul senso dell’esistenza. Fotografie come un canto finale, preludio di un ultimo svuotamento.
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