ANTIGONE Ovvero una strategia del rito
da Sofocle
regia Elena Bucci
da Sofocle
regia Elena Bucci con la collaborazione di Marco Sgrosso
progetto ed elaborazione drammaturgica Elena Bucci e Marco Sgrosso
con
Elena Bucci (Antigone), Marco Sgrosso (Creonte), Daniela Alfonso (Corifeo)
Maurizio Cardillo (Tiresia/Corifeo), Nicoletta Fabbri (Ismene/Coreuta)
Filippo Pagotto (Emone/Coreuta), Gabriele Paolocà (Guardia/Coreuta)
disegno luci Maurizio Viani
drammaturgia del suono Elena Bucci e Raffaele Bassetti
suono e sensori Raffaele Bassetti
direzione tecnica Giovanni Macis
luci Loredana Oddone
costumi Nomadea e Marta Benini
assistente all’allestimento Alessandro Sanmartin
una produzione CTB Brescia in collaborazione con LE BELLE BANDIERE
e con il sostegno del Comune di Russi
Durata spettacolo: un'ora e 15 minuti (senza intervallo)
Sulla scia dell’esperienza del concerto a due sul mito di Antigone e ispirati dalla sua rifrazione di punti di vista, siamo arrivati a questo progetto, allargato agli attori della compagnia.
Il nucleo primario della grande tragedia di Sofocle oppone la ragione del cuore di Antigone alla ragione di stato di Creonte, figure potenti pur nella loro umana vulnerabilità. Attorno a questo nucleo centrale, come in un caleidoscopio di nette rifrazioni, si generano a catena tutti gli altri contrasti: l’opposizione delle sorelle che apre la tragedia, Antigone votata alla morte e Ismene custode di vita, quella politica e generazionale tra Creonte padre-tiranno ed Emone figlio-ribelle, e quella etica e religiosa tra Creonte, invasato fino alla cecità nella difesa di un’idea di governo che dietro la pretesa di sanità nasconde la tirannia e il profeta Tiresia, maestro di visioni limpide e terribili pur nelle ombre dei suoi occhi senza vista.
Rileggere la tragedia è anche un tentativo di ritrovare le fonti di un pensiero etico e politico che pare sbiadirsi di giorno in giorno e di tornare a riflettere sul mito come strategia di condivisione che unisce e crea una comunità.
Una questione primaria che ci siamo posti nell’affrontare il lavoro è stata la relazione tra movimento e danza, suono cantato e parlato, maschera e volto. Gli attori scivolano da un piano all'altro, da uno stile all'altro, in un’idea di drammaturgia non soltanto ‘testuale’ ma anche musicale e coreografica, per riscoprire nella storia di Antigone tutta la freschezza dei molti linguaggi che abbiamo a disposizione e la potenza di un pensiero caro e desueto: nessuno può togliere la libertà di pronunciare il no.
In uno spazio severo ed impietoso verso le imprecisioni come il rigido ideale di buon governo di Creonte, il Coro – testimone e giudice – si muove come un corpo di ballo al ritmo di una tessitura sonora che avvolge anche il pubblico. Siamo tutti presenti ora alla veglia per la scelta estrema di Antigone, ombra inquieta in questo spazio tagliato da lampi di luce, alla veglia per il corpo di Polinice, riflesso insanguinato sui volti dei vivi, alla veglia per una nostra antica identità smarrita.
Una fila di sedie e cinque piccoli scranni determinano di volta in volta la divisione degli spazi e scandiscono il tempo dell’ascolto e quello del canto, come in una sospensione da concerto l'aspettativa da brivido degli strumenti che si accordano allude alla musica che seguirà.
Nei tagli e nei riflessi della luce – che denunciano l’impossibilità di fare brillare quella del Sole, più volte evocata nelle parole e nelle preghiere – sentiamo quanto le rovine di una città antica ci commuovano più della loro ricostruzione e percorriamo un vuoto che possa offrire elementi per comporre le più diverse visioni dell'antico dal quale veniamo e che più non riconosciamo. Quando tutto è compiuto, risuonano come un balsamo le parole di Sofocle che invocano la saggezza, porta della felicità a tutti aperta.
Elena Bucci e Marco Sgrosso
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