DON GIOVANNI
TEATRO VALLI
Musica di Wolfgang Amadeus MOZART
Dramma giocoso in due atti su libretto di Lorenzo Da Ponte
Edizioni Bärenreiter -Verlag, Kassel
Rappresentante per l’Italia Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano
PROGETTO per il 250° anniversario della nascita di W. A. Mozart
Don Giovanni : Nicola Ulivieri
Il Commendatore : Mauro Corna
Donna Anna : Natalia Ushakova
Don Ottavio : Norman Shankle
Donna Elvira : Maja Kovalevska
Leporello : Alfonso Antoniozzi
Masetto : Riccardo Novaro
Zerlina : Alessandra Marianelli
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Maestro concertatore e direttore, interprete al clavicembalo, fortepiano, pianoforte Jonathan Webb
Regia Daniele Abbado
Regista collaboratore Boris Stetka Scene, Costumi e Luci Gianni Carluccio
Movimenti coreografici : Alessandra Sini
Regia video : Luca Scarzella
Maestro del coro Marco Faelli
Nuovo allestimento
Coproduzione Arena di Verona e I Teatri di Reggio Emilia
23 e 28 aprile 2006 ore 20
DON GIOVANNI
libretto di Lorenzo Da Ponte
(Il dissoluto punito, o sia Il Don Giovanni) Dramma giocoso in due atti KV 527
Prima:Praga, Nationaltheater, 29 ottobre 1787
Una leggenda, nata dai non sempre affidabili ricordi della moglie Konstanze, tramanda che l’ouverture del Don Giovanni venne scritta da Mozart in fretta e furia, la notte che precedeva la prova generale dello spettacolo. Su questo racconto è legittimo avanzare più d’un dubbio, benché sia ben noto il fatto che Mozart, quando scriveva, di solito non faceva che affidare alla carta una composizione già perfettamente compiuta nella mente: la quasi totale assenza di correzioni sugli autografi sta a provarlo. Al di là delle vicende concernenti la singola ouverture, l’opera ebbe invece una gestazione nei limiti della norma, niente affatto affrettata. Mozart ne ricevette infatti la commissione subito dopo il momento di grande popolarità seguito al successo praghese dalle Nozze di Figaro (dicembre 1786), a otto mesi di distanza dalla ‘prima’ di Vienna. Era quindi naturale che dopo un esito tanto felice l’impresario Domenico Guardasoni impegnasse Mozart anche per la stagione successiva, in un’opera destinata ancora una volta alla compagnia di cartello a Praga, quella del capocomico Pasquale Bondini. Il soggetto della nuova opera pare sia stato suggerito da Lorenzo Da Ponte, che dopo il successo del Figaro venne naturalmente richiamato a collaborare con Mozart. Nelle sue Memorie, il poeta dice semplicemente: «Scelsi per lui il Don Giovanni, soggetto che infinitamente gli piacque», e possiamo credergli sulla parola, perché il ruolo dell’irresistibile cavaliere si adattava a pennello alla presenza scenica e vocale del nuovo idolo delle signore praghesi, il baritono Luigi Bassi, un baldo pesarese di ventidue anni, e Mozart sapeva bene quanto su uno spettacolo potesse incidere la bontà degli interpreti. Nella scelta di Da Ponte dovette contare anche l’opportunità di attingere a piene mani a un libretto di Giovanni Bertati, Il convitato di pietra, rappresentato a Venezia nel gennaio 1787 con musica di Giuseppe Gazzaniga, dunque proprio nello stesso mese in cui Mozart cominciava a pensare ai futuri impegni col teatro di Praga. È molto probabile che Il convitato di pietra sia stato rappresentato anche a Vienna nei mesi successivi, ma è comunque fuori discussione che Da Ponte ne conoscesse, e bene, il testo. Al poeta e letterato di Ceneda si presentava così l’occasione di giovarsi delle fatiche altrui, nel momento in cui doveva allestire ben tre libretti per altrettanti musicisti: oltre che con Mozart, era impegnato con Salieri per Tarare (divenuto poi Axur, re d’Ormus) e con Martín y Soler per L’arbore di Diana. All’imperatore Giuseppe II, che dubitava della sua capacità di far fronte a tanta mole di lavoro, Da Ponte dice d’aver risposto: «Scriverò la notte per Mozzart (sic) e farò conto di leggere l’ Inferno di Dante. Scriverò la mattina per Martini e mi parrà di studiare il Petrarca. La sera per Salieri e sarà il mio Tasso». La sicumera della risposta, tra i suoi aulici pavoneggiamenti, contiene tuttavia una grande verità, un’illuminazione critica che la dice lunga sulla consapevolezza stilistica di Da Ponte. L’accostamento fra il Don Giovanni e l’ Inferno dantesco non è infatti così peregrino e presuntuoso come potrebbe sembrare, perché in entrambi si compie quella fusione di registri poetici diversissimi che, nel caso di Dante, è conosciuta col termine continiano di ‘pluristilismo’; e una delle principali caratteristiche del dramma giocoso di Mozart è appunto quella di essere pluristilistica, ovvero di fondere il linguaggio del teatro buffo con quello serio. Il libretto fu completato attorno al giugno 1787, ma Mozart doveva aver cominciato a lavorarci già da tempo, via via che le varie scene lasciavano la scrivania di Da Ponte per passare sul leggio del suo pianoforte. Il compositore ebbe così tutto il tempo di delineare l’architettura dell’opera e, con molta probabilità, di intervenire anche nella stesura del testo, chiedendo modifiche e miglioramenti. Dopo qualche rinvio, il Don Giovanni andò in scena il 29 ottobre, «accolto con il più vivo entusiasmo», come scrisse Mozart all’amico Gottfried von Jacquin. L’opera restò in cartellone per molte settimane, e ottenne sul ‘Prager Oberpostamtzeitung’ una recensione più che lusinghiera. L’anno dopo, il 7 maggio 1788, il Don Giovanni fu rappresentato al Burgtheater di Vienna, su espresso desiderio dell’imperatore Giuseppe II. Per la rappresentazione viennese, Mozart aggiunse tre numeri alla già corposa partitura, cedendo alle richieste dei celebri cantanti di quella compagnia: al tenore Morella assegnò una nuova aria, "Dalla sua pace", al soprano Caterina Cavalieri, interprete di Donna Elvira, l’aria "Mi tradì quell’alma ingrata", mentre per Francesco Benucci (il primo Figaro) e Luisa Mombelli, rispettivamente Leporello e Zerlina, scrisse un nuovo duetto, "Per queste tue manine" che, a differenza dei due pezzi precedenti, non è mai riuscito a entrare nella tradizione esecutiva dell’opera. La maggior parte della critica rileva, a buon diritto, come anche le due inserzioni viennesi per Don Ottavio e Donna Elvira rappresentino delle ingiustificate battute d’arresto nel ritmo drammatico; più d’un commentatore è arrivato a suggerirne l’eliminazione, restituendo al dramma la sua struttura originale. A torto o a ragione, comunque, tanto "Dalla sua pace" quanto "Mi tradì quell’alma ingrata" sono oggi considerate parti integranti della partitura: pochi sarebbero disposti a rinunciare, in nome della sacrosanta teatralità, a due pagine di così elevato pregio. Un mistero aleggia poi intorno al sestetto finale, quello che porta la cosiddetta morale ("Questo è il fin di chi fa mal"). Alcuni storici sostengono che per la rappresentazione viennese Mozart l’avrebbe soppresso, facendo terminare il Don Giovanni con lo sprofondamento all’inferno del protagonista; secondo altri, questo taglio sarebbe stato già praticato in occasione della prima praghese; altri infine negano che Mozart abbia mai accordato una simile amputazione. Dal dibattito storico la questione è scivolata facilmente sul piano estetico, laddove l’indirizzo romantico vorrebbe a tutti i costi un finale tragico con la scena del Commendatore (con partigiani illustri quali Mahler e Adorno), mentre il partito filologico e neoclassico punta a salvare lo spirito settecentesco della ‘scena ultima’. Sia che si voglia espungere o conservare il sestetto, troppo spesso su entrambi i fronti si sente ripetere che comunque quella musica non reggerebbe i confronto con l’audacia sconvolgente della scena precedente, e che quindi comporta una brusca caduta di tono. Un tal giudizio postulerebbe che ogni opera debba avere il vertice d’un ideale climax espressivo proprio in coincidenza con la fine, cosa spesso falsa; niente vieta, inoltre, che l’ultraterreno turbamento provocato dal convitato di pietra sia deliberatamente compensato da Mozart con un ritorno fra gli umani e con una conclusione, almeno in apparenza, rassicurante. Certo è che in Mozart una totale prevalenza del pathos non è concepibile, e ogni uscita dai ranghi, anche la più straordinaria come avviene appunto nel Don Giovanni, deve essere ricondotta a quel superiore dominio delle passioni che è uno dei segreti dell’inalterabile fascino di questa musica. Resti dunque quel finale birbone là dov’è, vicino «a Proserpina e Pluton»: l’astrazione polifonica dell’estremo Presto, alla breve nasconde l’ironico sorriso di chi ha sconvolto per noi la fissità eterna di Cielo e Inferno.
Con un tale libretto fra le mani, Mozart realizzò una delle più sconcertanti sintesi di generi musicali che mai compositore abbia azzardato. Sistemati i conti con la riforma gluckiana nell’ Idomeneo, dove la fissità tragica cedeva alle superiori ragioni della musica; trasfigurata l’opera buffa in una vera commedia per musica con Le nozze di Figaro, egli si trova di fronte a un soggetto per metà comico e per metà tragico, con personaggi che continuamente incrociano ora l’uno ora l’altro genere. La doppia natura del dramma lo portò a far dialogare anche gli stili musicali, ma senza mai giungere a una fusione diretta e frontale. Il luogo d’incontro fra la commedia e la tragedia sono le scene d’insieme, laddove la verità drammatica trascende ogni modello precedente. Nessuno era giunto, prima di Mozart, a far convivere tante diverse realtà psicologiche in uno stesso tessuto musicale: già nelle Nozze di Figaro, e particolarmente nei due grandi finali del secondo e del quarto atto, il trascolorare drammatico porta a una continua rigenerazione dell’idea musicale, con progressive caratterizzazioni dei personaggi secondo il dipanarsi dell’intreccio. Si prenda la prima scena del Don Giovanni : subito dopo aver presentato Leporello in sentinella, una fiammata brucia il nucleo di tutta l’azione successiva, cioè la tentata violenza di Donna Anna e l’assassinio del Commendatore. Nel viluppo delle voci, la musica riesce a far vivere in uno stesso punto l’odio, l’ira, lo scorno, la paura e la sfrontatezza. In un breve volgere la scena si svuota, e rimane in terra solo il corpo esanime del Commendatore. Mai opera aveva conosciuto un inizio più folgorante, un ex abruptocapace di soggiogare il pubblico in modo così possente. La conclusione riproduce quell’incipit come in uno specchio: l’entrata del Commendatore e lo sprofondamento all’inferno di Don Giovanni (con la solenne cooptazione in orchestra dei tromboni, perenne sigillo sonoro dell’aldilà) sono seguiti dal ritorno alla tranquillità terrena, dopo che la tragedia ha conosciuto la febbre della catastrofe. Tutto è permesso a Mozart, perfino di far convivere, come nell’ Inferno dantesco, il gesto più nobile e alato accanto al prosaico linguaggio di Leporello: Francesca da Rimini accanto a Vanni Fucci, Farinata degli Uberti a fianco di Filippo Argenti. Lo strumento prezioso di queste metamorfosi di tono è l’orchestra, il cui ruolo concertante alimenta la scena con un commento esaustivo, rivelando a ogni tratto le diverse sfumature del gioco. Il linguaggio di Mozart, rispetto a tutti gli altri compositori del suo tempo, trovava la chiave di una indiscutibile superiorità nell’ampiezza dei suoi interessi e della sua formazione musicale. Fu l’operista più grande proprio perché nel teatro riversò la scienza acquisita nel campo strumentale, nel contrappunto e nella musica sacra. Quella convivenza di tragico e comico, quel far vivere in scena gli affetti più disparati, altro non è che una sorta di sublime dialettica drammatica, dove ogni voce riesce, pur nell’insieme, a mantenere la propria squisita individualità, dominata da un occhio superiore che ne guida sapientemente le mosse. Altro inedito concetto di contrappunto – nella sua accezione di conciliazione dei diversi – è quella che riguarda l’unione fra musica e parola, che in Mozart si fanno guida l’una dell’altra. Sul significato della parola nasce il suo rivestimento sonoro, ma per contro il decorso musicale finisce per attribuire al testo ulteriori e più profondi significati, governando col suo ritmo l’intera successione degli accadimenti. La perfezione di questo contrappunto fra musica e parola, fra affetti diversi, fra tragedia e commedia, fra mito e realtà, rende Don Giovanni un’opera inafferrabile, come avviene in tutte le grandi costruzioni polifoniche, dove l’orecchio non arriva a seguire al tempo stesso e in ugual modo tutte le linee intrecciate dall’architetto creatore di quei suoni. La sua posizione storica, alle soglie della più radicale trasformazione sociale dell’era moderna, l’ha resa leggibile dall’uno o dall’altro di quei mondi inconciliabili: a tutt’oggi, ogni volta che il «cavaliere estremamente licenzioso» torna a calcare le scene, la sua fisionomia può mutare sino a renderlo irriconoscibile, tanta è l’ambiguità della musica di Mozart. Ogni periodo, ogni interprete continuerà sempre a leggere nel Don Giovanni se stesso, così come accade per tutte le grandi creazioni dell’ingegno umano, in cui le ragioni della vita e della morte giocano la loro eterna partita a scacchi.
Opera 2024-2025
24 gennaio 2025
I Capuleti e i Montecchi • Bellini
Acquista un biglietto per I Capuleti e i MontecchiTeatro Municipale Valli
26 gennaio 2025
I Capuleti e i Montecchi • Bellini
Acquista un biglietto per I Capuleti e i MontecchiTeatro Municipale Valli