DAS RHEINGOLD (L’ORO DEL RENO) – RING SAGA
Ring Saga
Richard Wagner, Der Ring des Nibelungen (L'Anello del Nibelungo)
versione in 9 ore per 19 strumenti di Jonathan Dove – Graham Vick
Orchestra Remix Ensemble Casa da Música, Porto
direttore Léo Warynski
regia Antoine Gindt
collaboratore alla regia Élodie Brémaud
drammaturgia, traduzione, sottotitoli Aleksi Barrière e Laurent Prost
scenografia Elise Capdenat
luci Daniel Levy
creazione digitale Tomek Jarolim
costumi Fanny Brouste
trucco e acconciature Véronique Nguyen
accessori Martin Gautron
copia, correzioni e adattemento Fabrice Goubin
maestri collaboratori Christophe Manien e Nicolas Fehrenbach
Mélody Louledjian Woglinde
Jihye Son Wellgunde
Camille Merckx Flosshilde
Cheri Rose Katz Erda
Hélène Fauchère Freia
Nora Petrocenko Fricka
Fabrice Dalis Loge
Lionel Peintre Alberich
Johannes Schmidt Fafner
Martin Blasius Fasolt
Alexander Knop Donner
Ivan Ludlow Wotan
Commissione della Birmingham Opera Company, 1990
Produzione T&M-Paris – Casa da Música, Porto
Coproduzione Les Théâtres de la Ville de Luxembourg – Réseau Varèse (sovvenzionato dal Programma Cultura della Commissione Europea) – Cité de la Musique – Festival Musica, Strasbourg – Théâtre de Saint-Quentin-en-Yvelines
Cos’è Ring Saga
È un adattamento della grande opera di Wagner, L’Anello del Nibelungo, realizzato nel 1990 dal compositore inglese Johnathan Dove e dal regista d’opera inglese Graham Vick.
È stato commissionato dalla City of Birmingham Touring Opera, struttura dedicata alla produzione di opere in formato ridotto.
Obiettivo del progetto è quello di uscire dalle istituzioni operistiche tradizionali e consentire a un pubblico allargato di andare incontro a queste opere, riprendendo – con nuovo impulso – l’idea wagneriana di Festival
Der Ring des Nibelungen, una versione
Ci sono voluti quattro anni di preparazione (di ostinazione, talvolta) e di perseveranza, per realizzare Ring Saga, questo festival scenico in quattro opere che avremmo anche potuto intitolare Der Ring des Nibelungen, una versione: poiché della nostra versione si tratta, al contempo fedele al testo wagneriano, libera dalle convenzioni del suo tempo, e naturalmente – a partire dalla riduzione stabilita da Graham Vick e Jonathan Dove nel 1990 – alla ricerca di una propria forma. Una volta superato il tabù dell'“adattamento”, la questione dell'opera di Richard Wagner è posta: esiste una vita coerente al di là della forma originale, e qual è la forma di quest'opera?
Questo spettacolo è per noi una scommessa artistica; il confronto tra il graal lirico e i mezzi di realizzazione, che abbiamo voluto mantenere fedeli alle nostre conoscenze e abilità. Esso risiede specialmente nei desideri di collegialità e di responsabilità, che sono principi fondanti.
Scegliendo “Festival scenico” come sottotitolo dell’Anello del Nibelungo, Richard Wagner indicava al di là del gigantismo dell’opera, il suo desiderio di un momento d’eccezione, di una parentesi nella vita ordinaria, almeno in quella dell’ordinario melomane. Nel dedicarci a Ring Saga ci gettiamo in un’avventura completa e inedita, che vogliamo, per sovrappiù, “itinerante”.
La versione realizzata da Jonathan Dove e Graham Vick all’inizio degli anni Novanta ha raccolto elogi da tutti gli osservatori, compresi i più scettici riguardo all’opportunità di ridurre per durata e organico orchestrale il capolavoro di Wagner. Il racconto dell’epopea e la forza musicale sono intatti. Le soluzioni adottate nella condotta drammatica e musicale sono coerenti ed efficaci.
Così, seppure ridotta a nove ore e a un’orchestra di 18 musicisti, la partitura conserva una reale smisuratezza, aprendo peraltro nuove possibilità che motivano il nostro progetto.
La prima è quella di ritrovare l’idea iniziale di “festival”, concentrando le quattro opere in un breve periodo. La versione di Jonathan Dove permette in effetti di attraversare l’epopea in un fine settimana (tre giornate consecutive dal venerdì sera alla domenica pomeriggio), e di restituire così allo spettatore questo momento unico immaginato da Wagner: l’immersione nel cuore della saga dei Nibelunghi. La seconda possibilità, più tecnica ma non meno fondamentale, è quella dello stile vocale. Non dovendo le voci competere con un’orchestra molto grande, si rende possibile un reclutamento originale di cantanti, buona parte dei quali incontrati in altri nostri progetti.
Parallelamente a queste nuove possibilità, la nostra concezione si nutre delle nostre riflessioni e delle nostre pratiche sul teatro musicale e le musiche del XX e XXI secolo. È comunemente ammesso che il Ring sia l’esito ultimo dell’opera del XIX secolo, una sorta di ipertorfia dei mezzi musicali, poetici e teatrali dell’epoca, un compimento del genio del compositore, della sua ambizione ossessiva e smisurata. Noi considereremo l’opera tenendo presente l’eredità di quanto le è succeduto, stilisticamente e concettualmente, cioè effettivamente come una ri-creazione.
Avvicinarla in questo modo, più modesto solo in apparenza, con una strumentazione improntata all’ensemble tipo del XX secolo, apre ulteriori piste teatrali: apparato scenico unico ed evolutivo, attenzione concentrata sulla relazione tra narrazione e azione, utilizzo delle odierne tecnologie dell’immagine per creare la straordinaria sensazione di avviluppamento dello spettatore nella scena… Ci poniamo il fine di realizzare la funzione dell’arte difesa da Wagner medesimo: saldare una comunità attorno a un evento eccezionale, i cui temi principali sono più che mai d’attualità: conflitti generazionali e di potere, problematica della trasmissione, saccheggio dei beni comuni a vantaggio di interessi privati, cultura della catastrofe e della paura…
Antoine Gindt, regista
A proposito della versione di Jonathan Dove e Graham Vick
Il compositore inglese Jonathan Dove ha riorchestrato la Tetralogia per una formazione di 18 strumentisti, conservando tutte le sezioni che compongono l’orchestra di Wagner, ma riducendole di dimensione. I legni sono a uno: flauto (e ottavino), oboe (e corno inglese), clarinetto e fagotto. Ogni famiglia di ottoni è rappresentata, con due corni, una tromba, un trombone, una tuba. S’aggiungono le percussioni, un’arpa e un organo. Infine gli archi sono ridotti al sestetto: due violini, una viola, due violoncelli, un contrabbasso. L’effettivo ricalca dunque la configurazione di un’orchestra da camera usuale nella produzione musicale del XX secolo, e che Wagner stesso aveva esperimentato nel suo celebre Siegfried-Idyll, pezzo che riprende peraltro un gran numero di leitmotiv presenti nella Tetralogia. Il linguaggio wagneriano, d’essenza contrappuntistica, s’accomoda perfettamente a questo tipo di ensemble più leggero.
L’alleggerimento della tessitura orchestrale permette altresì di avvicinare con maggiore disinvoltura le costrizioni tecniche poste in Wagner dall’equilibrio tra voci e grande orchestra. È di grande interesse approfittare di questa versione per ritrovare uno stile vocale più vicino al bel canto che era praticato al tempo di Wagner, quando ancora non esisteva la tradizione esecutiva di voci specializzate, larghe e potenti, alla quale ormai le sue opere sono affidate.
In più questa configurazione, meno pesante e faticosa per i cantanti, permette di distribuire senza rischio più ruoli affini per tessitura a uno stesso cantante.
La sfida posta dall’arrangiamento consiste nel seguire da vicino le scelte compiute da Wagner nella sua orchestrazione, e fare in modo di ritrovare l’ampiezza espressiva della grande orchestra originale. Propriamente parlando, Dove non riorchestra Wagner, perché conserva quasi sempre i timbri della partitura di partenza. Per dare maggiore spazialità alla sonorità dell’ensemble, Jonathan Dove aggiunge un organo. La riduzione comporta un riequilibrio delle forze potenziali. Quando non può conservare l’orchestrazione di partenza, Dove bada a salvaguardare l’idea originale con una strumentazione il più possibile vicina al modello originale. Inoltre, le possibilità di amplificazione eliminano qualsiasi problema di equilibrio che l’orchestra potrebbe incontrare.
Al lavoro di condensazione orchestrale, fa riscontro la contrazione nella durata delle quattro opere, realizzata in collaborazione con il drammaturgo e regista Graham Vick. Al fine di preservare la coerenza pur riducendo la durata, l’arrangiatore ha accorciato alcune pagine orchestrali (l’inizio e le transizioni orchestrali tra le scene del prologo), soppresso scene di interesse drammatico secondario (per esempio, il maltrattamento che Alberich infligge a Mime nel prologo), condensato episodi senza scalfirne il senso (come nel monologo di Wotan/Viandante nella scena 7 di Siegfried). Fin nel minimo dettaglio, Dove ha mantenuto il discorso musicale originale senza cambiare una sola nota. Elisioni e contrazioni sono pertanto impercettibili per chi non conosce il testo approfonditamente.
Léo Warynski, direttore d'orchestra