COSì FAN TUTTE
TEATRO VALLI
Dramma giocoso in due atti su libretto di Lorenzo Da Ponte
musica di Wolfgang Amadeus MOZART
Edizioni Bärenreiter -Verlag, Kassel
Rappresentante per l’Italia Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano
PROGETTO per il 250° anniversario della nascita di W. A. Mozart
Fiordiligi : Myrto Papatanasiu
Dorabella : Francesca Provvisionato
Guglielmo: Christian Senn
Ferrando : Francesco Meli (22 aprile), Stefano Ferrari (27 aprile)
Despina : Damiana Pinti
Don Alfonso : Alfonso Antoniozzi
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Maestro concertatore e direttore, interprete al clavicembalo, fortepiano, pianoforte Jonathan Webb
Regia Daniele Abbado
Regista collaboratorte Boris Stetka
Scene, Costumi e Luci Gianni Carluccio
Movimenti coreografici : Alessandra Sini
Regia video : Luca Scarzella
Maestro del coro Marco Faelli
Nuovo allestimento
Coproduzione Arena di Verona e I Teatri di Reggio Emilia
22 e 27 aprile 2006 ore 20
COSì FAN TUTTE
di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
libretto di Lorenzo Da Ponte
ossia La scuola degli amanti Dramma giocoso in due atti KV 588
Prima: Vienna, Burgtheater, 26 gennaio 1790
Ultima delle opere su libretto di Lorenzo Da Ponte, dopo Le nozze di Figaro (1786) e Don Giovanni (1787), Così fan tutte è anche l’ultima opera buffa mozartiana: seguiranno il Singspiel Die Zauberflöte e l’opera seria La clemenza di Tito.
Il libretto mette in scena la crudeltà dei rapporti fra i sessi e la pretesa maschile del dominio fisico esclusivo su una persona. Il tema dell’infedeltà è spesso presente nella librettistica comica, ma qui ha un sapore diverso: alla prova sono messe due donne di condizione sociale elevata. Per convenzione, nell’opera buffa solo serve, contadine e popolane potevano esprimersi in modo più libero e comportarsi in modo disinibito, in quanto lo schermo della differenza sociale implicava il giudizio negativo da parte dello spettatore. In ottica maschilista, l’infedeltà dell’uomo è stata sempre considerata più ‘naturale’: Don Giovanni e il conte delle Nozze di Figaro destano minori preoccupazioni di Fiordiligi e Dorabella, dame «ferraresi» (un omaggio alla civiltà rinascimentale dell’Ariosto). Queste eroine di un nuovo mondo cortese, se si mostrano infedeli vengono bollate dai fidanzati come donne «che non valgono due soldi» e «cagne», o semplicemente «femmine» da Don Alfonso. Immaginiamo il contrario, la stessa vicenda rovesciata: Ferrando e Guglielmo messi alla prova da Fiordiligi e Dorabella travestite, con scambio di coppie (anche la contessa delle Nozze, suo malgrado, mette alla prova il marito fedifrago e, travestita da Susanna, ne subisce le pesanti attenzioni; ma subito lo perdona, benedicendolo con una melodia dolcissima che cade dal cielo: «Più docile io sono…»). Proprio una frase di Fiordiligi, nel suo primo recitativo, insinua la prospettiva potenzialmente rovesciata: «Mi par che stamattina volentieri/ farei la pazzarella (…)/ Quando Guglielmo viene, se sapessi/ che burla gli vo’ far!», ma poi sono le donne a subire la burla da parte degli amanti: forse Da Ponte vuole suggerire che tutto è relativo, ogni cosa è il contrario di se stessa, e che il libretto prevede il suo negativo… Allora, cosa succederebbe se a travestirsi fossero le sorelle? Nulla di interessante, nessuna presa in giro crudele, puntuale routine drammaturgica: Ferrando e Guglielmo cederebbero subito (altro che finti avvelenamenti), perché «così fan tutti». La prospettiva musicale rovesciata funzionerebbe ancor meno; pensiamo a un Ferrando che canti le arie di Fiordiligi, retoricamente belcantistiche, da opera seria: non sarebbe possibile. La drammaturgia musicale dell’opera di Mozart funziona perché a essere ingannate sono le donne, e perché alle protagoniste femminili è concesso di adottare un registro stilistico che agli uomini non compete: lo stile alto, tragico. Per cantare "Come scoglio", o anche "Per pietà, ben mio, perdona", Ferrando dovrebbe diventare un castrato. Ai rappresentanti del ‘maschile’, quasi per contrappasso, è dato esprimersi solamente in una gamma di registri molto ridotta: dal languore delle brevi arie di Ferrando, alla rabbia buffa, in stile comico, di Guglielmo. A Don Alfonso poi non è nemmeno concessa un’aria vera e propria: egli ragiona soltanto, adottando i recitativi accompagnati da opera francese razionalista. Invece la stessa Despina si muove con disinvoltura fra le ampie possibilità retoriche del ‘femminile’: il suo ambito naturale è il ritmo ternario, è la corta melodia facile facile, da cameriera. Ma non è inchiodata lì: può assumere il linguaggio delle sue padrone, quando è chiamata a parlare al loro posto (nel quartetto del secondo atto: «Quello ch’è stato è stato»); nei travestimenti può cambiare sesso, condizione sociale, linguaggio. E Dorabella intona un’aria di furia, ma scivola disinvoltamente nella facilità melodica della cameriera ("È amore un ladroncello"). Scarto di registri, parodia e ironia sono chiavi interpretative spesso adottate nell’esegesi di un’opera che vive di situazioni artificiali e parossistiche, con un libretto che si basa sulla finzione, sulla recita: una sorta di riflessione sulla storia dell’opera buffa. Letta anche musicalmente nella prospettiva sfuggente dell’ambiguità, Così fan tutte sembra diventare un frutto del Novecento, un omaggio allo Stravinskij della musica ‘al quadrato’, tutta citazione… Ma la musica teatrale è sempre parodia: l’opera buffa di fine Settecento, intreccio di parole e gesti vocali-strumentali codificati dalla tradizione, offre a ogni battuta un atteggiamento parodico facile da decifrare. Talmente facile che diventa un abito, ed è quasi impossibile distinguere l’intento ironico, soggettivo, da quel che è il risultato dell’adesione spontanea ai canoni di un genere altamente codificato.
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