MADAMA BUTTERFLY
Tragedia giapponese in tre atti
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini
Personaggi e Interpreti
Madama Butterfly (Cio-Cio-San): Svetla Vassileva
Suzuki: Akemi Sakamoto
Kate Pinkerton: Maria Cioppi
F.B.Pinkerton: Salvatore Cordella
Sharpless: Roberto De Candia
Goro: Mauro Buffoli
Il Principe Yamadori: Roberto Accurso
Lo Zio Bonzo: Mario Luperi
Il Commissario Imperiale: Marco Democratico
L’Ufficiale del Registro: Davide Benetti
La madre di Cio Cio San: Daniela D’Ingiullo
La zia: Maria Chiara Pizzoli
La cugina: Maria Vittoria Primavera
Maestro Concertatore e Direttore Giampaolo Bisanti
Maestro del Coro: Martino Faggiani
Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi
Coro Claudio Merulo di Reggio Emilia
regia Daniele Abbado
Regista collaboratore Boris Stetka
scene Graziano Gregori
costumi Carla Teti
luci Valerio Alfieri
Allestimento scenico della Fondazione Petruzzelli di Bari
Produzione della Fondazione i Teatri di Reggio Emilia
Uscito dal trionfale successo di Tosca (Roma 1900), Puccini aveva preso in considerazione numerosi progetti, avanzati per lo più da quell’autentica miniera di idee e di stimoli che fu Luigi Illica: da Tartarino di Tarascona a Notre Dame de Paris, da Memorie di una casa di morti all’Adolphe di Benjamin Constant. Ma niente riuscì a cancellare l’impressione suscitata da Madame Butterfly vista dal musicista a teatro a Londra, anche se aveva capito ben poco del testo, recitato in inglese. Nel 1898 John Luther Long aveva pubblicato un racconto omonimo, poi ridotto ad atto unico da David Belasco, uno dei più abili uomini di teatro americani, a cui Puccini ricorrerà anche per La fanciulla del West, subito dopo aver scritto Butterfly. La lacrimevole storia della giapponesina sedotta, abbandonata e suicida era una vicenda umana che gli consentiva di esplicare tutta la sua capacità di commuovere, di esercitare quel ’ricatto dei sentimenti’ al quale le platee di tutto il mondo, allora come oggi, difficilmente riescono a sottrarsi. La scelta del soggetto cadeva dunque su un’opera che aveva superato il fuoco del palcoscenico e che possedeva già una teatralità esplicita, di cui la musica sarebbe stata un ulteriore potenziamento. Certamente dovette molto stimolare la fantasia musicale di Puccini l’ambientazione esotica, quell’estremo Oriente che, allo scadere del secolo XIX, aveva sostituito – nella ’moda’ letteraria e teatrale – le turcherie in voga nel Settecento e in età rossiniana. Il Giappone si stava affacciando sulla ribalta politica internazionale, e la guerra russo-giapponese del 1905 sancirà questa volontà di emergere del paese orientale; le suppellettili, i paraventi laccati, i delicati acquerelli, alcuni vocaboli (ikebana, harakiri, kimono, obi) cominciavano a entrare nelle case della borghesia europea e a suggestionare i pittori dell’Art Nouveau e della Sezession viennese. Gli scrittori avevano tratto sottili suggestioni da questa terra incantata e misteriosa, delicata e terribile; ed è d’obbligo citare il romanzo Madame Chrysanthème di Pierre Loti, che fornì numerosi elementi a tutto il primo atto di Butterfly, alla scena di nozze della quale non è traccia né nel racconto di Long né nell’adattamento teatrale. C’erano stati, ancora nel dominio del teatro leggero, Arthur Sullivan che nel 1885 aveva musicato The Mikado e Sidney Jones con The Geisha (1896); ma su Puccini maggiore suggestione esercitò l’Iris di Mascagni, anch’essa di ambiente giapponese, accolta con favore nel 1898. La cornice orientale, dunque, affascinò intensamente il compositore, tanto che volle documentarsi ampiamente sulle musiche, sugli strumenti giapponesi, giungendo addirittura a citare più di una decina di temi autentici nella nuova partitura; Mascagni, invece, si era limitato a pochi spunti e aveva lavorato tutto d’invenzione. Per la recitazione, Puccini seguì i consigli di una specie di Sarah Bernhardt nipponica, la celebre Sada Jacco; per le usanze e il décor ricorse alle indicazioni della moglie dell’ambasciatore giapponese. Una volontà di documentazione puntigliosa, di un «naturalismo disarmante», che stupisce e quasi indispone, solo se si pensi che, negli anni in cui Butterfly vedeva la luce, la grande stagione naturalistica si stava consumando: nella letteratura, nel teatro, nella musica.
Iniziata nel 1901, la composizione procedette con numerose interruzioni; l’orchestrazione venne avviata nel novembre 1902 e portata a termine nel settembre dell’anno seguente, e soltanto nel dicembre del 1903 l’opera poté dirsi completata in ogni sua parte. La sera del 17 febbraio 1904, nonostante l’attesa e la grande fiducia dei suoi artefici, la Butterfly cadde clamorosamente alla Scala di Milano, inducendo autore ed editore a ritirare lo spartito e a sottoporre l’opera a un’accurata revisione che, attraverso l’eliminazione di alcuni dettagli e l’opportuna modifica di scene e situazioni, la rese più agile e proporzionata. Nella nuova veste Madama Butterfly venne accolta con entusiasmo al teatro Grande di Brescia appena tre mesi dopo, il 28 maggio. Tale versione tuttavia non è quella che si ascolta oggi sulle scene, poiché Puccini, nella sua connaturata incontentabilità, ritornò ancora sullo spartito, tanto che si conoscono addirittura quattro differenti edizioni a stampa. Ci furono alleggerimenti: la soppressione di parte delle battute ’colonialiste’ di Pinkerton, che ironizza sulle abitudini giapponesi; minor rilievo per la figura dello zio ubriacone Yakusidé, che si avventa sul buffet preparato per le nozze; altri piccoli tagli nel primo atto. Più vistoso lo smembramento del lunghissimo secondo atto (soluzione proposta già da tempo dallo stesso Giacosa), mentre il nuovo terzo atto veniva arrichito dalla ’romanza’ per il tenore "Addio, fiorito asil" e presentava varie modifiche nella scena fra il console, Butterfly e Kate. Inoltre venne modificata la melodia d’entrata di Butterfly (che ritorna nel duetto d’amore), vennero eseguiti tagli all’aria del secondo atto "Che tua madre" e aggiustamenti alla frase di Butterfly «O a me, sceso dal trono», nel suo canto finale "Tu, tu, piccolo Iddio". Nella versione definitiva del 1906 Madama Butterlfy si stabiliva nel repertorio, diventando in breve volgere di anni una delle partiture più rappresentate di tutta la storia dell’opera, anche se riserve continuano a essere avanzate dagli studiosi, non esclusi i ’pucciniani’ più convinti, come Claudio Casini, che insiste sul «manierismo» di Butterfly , o Leonardo Pinzauti, che riprende la formula dell’opera «peso piuma» (come la definì il vecchio Ricordi) negandole la qualifica di capolavoro: «un lavoro discontinuo, tenuto insieme soprattutto da un consumatissimo mestiere». Indubbiamente Madama Butterfly, con la sua vicenda sentimentale, con i suoi personaggi esemplati sul reale, poteva apparire forse un prodotto fuori stagione, diagnosi avanzata da Claudio Sartori per giustificare il fiasco della ’prima’. Tuttavia la strepitosa rivincita che l’opera ottenne nella rappresentazione a Brescia significò che, pur con un apparente ’vecchio gioco’, l’autore aveva fatto centro ancora una volta.
Opera 2024-2025
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