LE NOZZE DI FIGARO
TEATRO VALLI
Opera buffa in quattro atti su libretto di Lorenzo Da Ponte
musica di Wolfgang Amadeus MOZART
Edizioni Bärenreiter -Verlag, Kassel
Rappresentante per l’Italia Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano
PROGETTO per il 250° anniversario della nascita di W. A. Mozart
Il Conte D’Almaviva: Davide Damiani
La Contessa D’Almaviva: Rachel Harnisch
Susanna : Julia Kleiter
Figaro : Nicola Ulivieri
Cherubino :Gabriella Sborgi
Marcellina : Damiana Pinti
Bartolo : Roberto Abbondanza
Basilio e Don Curzio : Mauro Buffoli
Barbarina : Cristina Baggio
Antonio : Dario Benini
Prima ragazza: Patrizia Diodato
Seconda ragazza: Antonella D’Amico
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Maestro concertatore e direttore, interprete al clavicembalo, fortepiano, pianoforte Jonathan Webb
Regia Daniele Abbado
Regista collaboratore Boris Stetka
Scene, Costumi e Luci Gianni Carluccio
Movimenti coreografici : Alessandra Sini
Maestro del coro Andrea Cristofolini
Nuovo allestimento
Coproduzione Arena di Verona e I Teatri di Reggio Emilia
21 e 26 aprile 2006 ore 20
di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
libretto di Lorenzo Da Ponte, dalla commedia Le Mariage de Figaro di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais
Commedia per musica in quattro atti
Prima: Vienna, Burgtheater, 1 maggio 1786
Unanimemente considerato uno degli esempi più perfetti di drammaturgia musicale, il primo frutto della collaborazione fra Mozart e Lorenzo Da Ponte vide la luce fra non poche difficoltà, legate ai problemi di censura che la commedia di Beaumarchais si portava dietro e alle tipiche cabale dell’ambiente teatrale viennese, dominato dalla figura del direttore dei Teatri imperiali, conte Rosemberg Orsini. Tutta la genesi del lavoro (per il quale manca, purtroppo, un carteggio fra i due autori) è descritta con discreta attendibilità nelle Memorie di Lorenzo Da Ponte: l’idea sarebbe nata da una conversazione con Mozart («L’immensità del suo genio domandava un soggetto esteso, multiforme, sublime»), ma si scontrò col divieto imperiale di rappresentare la commedia di Beaumarchais, «scritta troppo liberamente per un costumato uditorio». Si può legittimamente dubitare che sia stato l’Abate – come egli stesso sostiene – a convincere Giuseppe II a dare il suo nulla osta alla rappresentazione della nuova opera: ultimamente, buona parte della storiografia musicale inclina invece a ritenere che l’imperatore abbia avuto un ruolo di primissimo piano nel progetto, e che abbia ottenuto dal Da Ponte l’omissione delle tirate più squisitamente politiche senza per questo intaccare la sostanza della trama, perfettamente adeguata alle sue idee di monarca illuminato e alla sua opera fustigatrice del malcostume aristocratico. Anche l’aneddoto concernente il problema della presenza di un ballo nell’opera (Giuseppe II aveva proibito le danze negli spettacoli di corte), opportunamente stigmatizzato dai rivali di Da Ponte, conferma l’interesse privilegiato che il monarca ebbe per tutta l’operazione, se è vero, come racconta il librettista, che egli stesso si sarebbe recato alle prove e, vedendo l’azione deturpata dalla mancanza del ballo di matrimonio, l’avrebbe fatta reinserire sul momento. In effetti è perlomeno singolare che un testo come quello di Beaumarchais, disseminato di veleni satirici e politici contro la classe aristocratica, potesse proprio in quegli anni giungere alle scene senza un fortissimo sostegno dall’alto. Evidentemente, i progetti dell’imperatore, che aspirava a farsi garante d’una nuova alleanza con la vera forza sociale dello stato, la borghesia, saltando a pie’ pari l’antica struttura feudale, passavano anche attraverso una politica culturale – e segnatamente teatrale – di natura deliberatamente provocatoria, alla quale due spiriti libertini come Da Ponte e Mozart sembravano servire alla perfezione. Comunque, per la sua bruciante attualità e per la perfezione del suo febbrile ritmo teatrale, Le nozze di Figaro finì per essere il più grande successo dell’intera carriera artistica di Mozart, e trovò immediata e duratura rispondenza nei teatri di tutta Europa. Da allora, l’opera non ha mai cessato d’essere ammirata e prodotta, neppure nel XIX secolo, che si dimostrò per altri versi sordo e crudele nei confronti di larga parte del teatro mozartiano (si pensi alla totale cancellazione dal repertorio ottocentesco d’un capolavoro come Così fan tutte , senza dire delle due grandi opere serie, Idomeneo e La clemenza di Tito ). La rinascita della fortuna di Mozart appartiene però prevalentemente al nostro secolo, cominciando con l’appassionata dedizione che al Salisburghese consacrarono personaggi come Gustav Mahler (nel periodo della sua direzione dell’Opera di Stato di Vienna) e Richard Strauss.
Al di là degli innegabili accenti prerivoluzionari che la folle journée di Beaumarchais si portava dietro, l”estratto’ realizzato da Mozart e Da Ponte ha caratteristiche che superano di gran lunga l’attualità del tema sociale e lo pongono in una dimensione superiore, quella della commedia umana. Le nozze di Figaro è infatti prima di tutto un dramma dei sentimenti, ove tutto si confonde – amore, sesso, gelosia, ira, riscatto di classe, orgoglio aristocratico, malinconia, gioco e, last but not least, leggerezza – ma al fine di mostrare, nel carosello dei personaggi, un panorama di emozioni, mai sottoposto a giudizio morale. Nessuno, neppure lo stesso Almaviva, viene infatti seriamente giudicato, benché messo alla berlina: tutti i protagonisti della vicenda (che in effetti non ha poi figure davvero egemoni) sono mossi da un medesimo motore, che è il bisogno d’amore, sia esso considerato semplicemente come desiderio sessuale – per esempio nel conte o nel meraviglioso ritratto di Cherubino, adolescente alla scoperta dei piaceri – oppure come nostalgia d’una felicità perduta (la contessa), o ancora come puro affetto familiare e borghese (la coppia di Figaro e Susanna), benché già minato sul nascere dai sospetti e dalle civetterie. Come ha splendidamente intuito Massimo Mila nella sua esemplare Lettura delle Nozze di Figaro, l’eros dell’opera è in realtà una formidabile metafora della ricerca della felicità, il grande mito dell’Illuminismo che qui s’incrina sullo scetticismo mozartiano, in un primo capitolo di quello che è forse considerabile come il più grande trattato sull’amore mai scritto: il seguito, nella dimensione epica d’un vero eroe tragicamente proiettato sull’impossibilità d’amare, sarà il Don Giovanni, e la conclusione, amara fino al prezzo del cinismo, si chiamerà non a caso Così fan tutte, prendendo il titolo da una battuta crudele di Don Basilio nel primo atto delle Nozze.
L’esperimento di Mozart e Da Ponte è riuscito, per la prima e forse ultima volta nella storia della musica, a superare i confini dei generi, sia nel teatro che nello stile musicale. Seguendo la traccia appena abbozzata da Paisiello nel suo Barbiere di Siviglia (egualmente tratto da Beaumarchais), musicista e librettista hanno liberato l’opera buffa dai suoi stereotipi ancora indebitati con la commedia dell’arte. Nelle Nozze , i personaggi hanno un rilievo psicologico affatto nuovo, uno sbalzo drammatico mai incontrato in precedenza, e per questo si trasformano in figure indelebili dalla memoria dello spettatore. Oltre che alla perfezione assoluta della drammaturgia e del testo, la folgorante capacità di ritrarre i diversi tipi umani risiede soprattutto nella musica, che allarga il territorio dell’opera buffa con frequenti e sapienti prestiti dallo stile serio. Ad esempio nelle due grandi arie della contessa, intrise di una malinconia che non ha proprio nulla a che vedere con la tradizione comica; o anche l’unica aria del conte, il cui piglio fiero e virtuosistico ne fa una perfetta contaminazione di un genere nell’altro. La grande novità nella costruzione drammatica sono tuttavia i pezzi d’insieme, vero punto di forza del ritmo travolgente di questa che, giustamente, Da Ponte volle definire «commedia per musica» e non ‘opera buffa’. Come già era in parte avvenuto nell’ Idomeneo e nella Entführung aus dem Serail, nei pezzi d’insieme (duetti, terzetti, sestetti, e particolarmente i due smisurati finali del secondo e quarto atto), le psicologie trovano il luogo deputato al conflitto e al confronto, e si fanno assai più sottili e intelligibili di quanto non avvenga nei pur mirabili recitativi secchi. Il luogo eccelso della maestria di Mozart nel costruire in musica il coup de théâtre, è pertanto il finale del secondo atto, dove in un crescendo di tensione drammatica irresistibile gli attori in scena passano da due a sette, in venticinque minuti di musica ininterrotta e fluviale.
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