LA GAZZA LADRA
Melodramma in due atti di Giovanni Gherardini
Musica di Gioachino Rossini
Fabrizio Vingradito PAOLO BORDOGNA
Lucia KATARINA NICOLIC
Giannetto FILIPPO ADAMI
Ninetta PAULA ALMERARES
Fernando Villabella ALEX ESPOSITO
Gottardo LUCA TITTOTO
Pippo JOSE’ MARIA LOMONACO
Isacco ANDREA TABOGA
Antonio UGO ROSATI
Giorgio MATTIA OLIVIERI
Il Pretore MATTEO FERRARA
La Gazza SANDHYA NAGARAJA
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
direttore Michele Mariotti ( 17 aprile), Ryuichiro Sonoda (19 aprile)
regia Damiano Michieletto
assistente alla regia Silvia Paoli
scene Paolo Fantin
costumi Carla Teti
assistente ai costumi Caterina Botticelli
luci Mark Treubridge ripresa da Fabio Barettin
maestro del coro,Paolo Vero
Allestimento del Rossini Opera Festival in coproduzione con Arena di Verona
Coproduzione Teatro Comunale di Bologna, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia
Nell’ampio catalogo rossiniano tre titoli appartengono al genere semiserio: Torvaldo e Dorliska (1815), La gazza ladra (1817), Matilde di Shabran (1821). La gazza ladra è tra questi certo l’esito più alto: una partitura abnorme per dimensioni (la sua durata supera di quasi il doppio quella degli altri titoli del catalogo rossiniano, escludendo Semiramide e Guillaume Tell) e per impegno compositivo (si pensi alla quasi assoluta mancanza di musica ripresa da opere precedenti, il che vuol dire assunzione di un impegno straordinario). A motivare uno sforzo compositivo così intenso non sembra sufficiente indicare una tappa, peraltro importante, della biografia del Pesarese quale la fine della collaborazione di Rossini con i teatri della Penisola, sancita appunto dalla composizione della Gazza ladra. Il fatto che quest’opera sia l’ultima scritta da Rossini dopo la sua nomina a direttore dei teatri napoletani (1815) è piuttosto occasione esterna. Dato senza dubbio più determinante fu la commissione. L’incarico di comporre una nuova opera giunse a Rossini dal Teatro alla Scala di Milano, con il quale egli si impegnò prima del marzo 1817. Il libretto era fornito da un poeta «di fresca data», come scrive Rossini in una lettera alla madre, vale a dire Giovanni Gherardini, letterato di spicco della vita culturale milanese, direttore del ’Giornale d’Italia’, autore di drammi giocosi per musica, commedie in prosa, traduttore di classici e importante filologo. Con la prima redazione del libretto della Gazza Gherardini partecipò a un concorso indetto dall’Impresa dei Reali Teatri di Milano, guadagnandosi parole di stima da Vincenzo Monti, che lodava l’azione «sviluppata con naturalezza e chiarezza», nonché i caratteri ben lumeggiati e felicemente messi in contrasto». La fonte letteraria di Gherardini era un soggetto tratto dal teatro francese, La Pie voleuse, di T. Babouin d’Aubigny e Louis-Charles Caigniez, un ’mélo-historique’ (basato cioè su un fatto che si riteneva di cronaca) rappresentato a Parigi nel 1815. Il fatto che Rossini abbia preventivato tre mesi di lavoro per la composizione dell’opera da darsi al Teatro alla Scala indica quanta importanza egli attribuisse alla propria rentrée nel teatro milanese. Dal tempo della Pietra del paragone (1812), salutata da un grande successo, il melodramma rossiniano aveva conosciuto a Milano esiti incerti con Aureliano in Palmira (1813) e Il Turco in Italia (1814), tanto che il corrispondente di un giornale tedesco, la ’Allgemeine Musikalische Zeitung’, poteva scrivere: «Rossini alcuni anni fa furoreggiava a Milano e Venezia, ora se ne ha abbastanza di quasi tutte le sue opere in ambedue le città. L’anno scorso a Napoli fu innalzato alle stelle: ora perfino là cominciano a fare tutt’altri discorsi su di lui». Probabilmente avvertito di tanta malevolenza, Rossini affinò le armi, e il fatto di confrontarsi con un’opera semiseria giocò a suo favore. Il genere semiserio infatti, per sua costituzione in bilico tra buffo e tragico, consentiva a un compositore come Rossini, così straordinariamente dotato di senso dell’equilibrio stilistico e formale, di dare ottima prova di sé in entrambi i generi. Come l’opera buffa e quella seria, anche l’opera semiseria era caratterizzata da convenzioni precise, in gran parte mutuate dalla comédie larmoyante e dalla pièce à sauvetage. Innanzitutto il lieto fine, dove un innocente, generalmente una persona del popolo ingiustamente condannata, sfugge in extremis alla condanna a morte; poi l’ambientazione, solitamente di tipo feudale, che vede il castello o palazzo del persecutore, che è sempre un nobile o comunque persona di rango elevato, incombere sulla scena quale concretizzazione visiva dell’arroganza del potere. Luoghi topici del genere semiserio sono la prigione o la torre (che racchiude l’innocente condannato), la piazza del villaggio (dove si radunano i contadini), la casa del signore.
Opera 2024-2025
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