IDOMENEO, RE DI CRETA
Dramma per musica in tre atti
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
direttore Michele Mariotti
regia Davide Livermore
Libretto di Gianbattista Varesco
Idomeneo Jason Collins
Idamante Giuseppina Bridelli
Ilia Barbara Bargnesi
Elettra Valentina Corradetti (26-03), Guanqun Yu (28-03)
Arbace Enea Scala (26-03), Gabriele Mangione (28-03)
Il gran sacerdote di Nettuno Paolo Cauteruccio (26-03), Ramtin Ghazavi (28-03)
La voce dell’oracolo di Nettuno Sandro Pucci (26-03), Michele Castagnaro (28-03)
Due cretesi Maria Adele Magnelli (26-03), Silva Pozzer (28-03); Marie Luce Erard (26 e 28-03)
Due troiani Andrea Taboga e Gabriele Lombardi (26-03),
Ugo Rosati e Giuseppe Nicodemo (28-03)
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Regia: Davide Livermore
Assistente alla regia: Alessandra Premoli
Scene: Santi Centineo
Costumi: Giusi Giustino
Luci: Andrea Anfossi
Direttore: Michele Mariotti
Maestro del Coro: Paolo Vero
Nuovo allestimento in coproduzione tra Teatro Regio di Torino e Teatro Comunale di Bologna
Collaborazione coproduttiva: Teatro Comunale di Bologna, I Teatri di Reggio Emilia, Teatro Comunale di Modena, Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Dante Alighieri di Ravenna.
Idomeneo fu composto tra l’autunno del 1780 e i primi giorni del 1781 su libretto di Gianbattista Varesco, cappellano di corte dell’arcivescovo di Salisburgo. Del libretto esistono due versioni: la prima presenta il testo integrale; la seconda non riporta, invece, i numerosi passi tagliati o non musicati da Mozart, altri espunti dopo esser stati composti e altri ancora esclusi all’ultimo momento per esigenze di durata. A partitura ultimata, il compositore effettuò ulteriori tagli per snellire la lunghezza dello spettacolo. Questa complessa vicenda testuale nasconde un travaglio creativo, documentato dalla quarantina di fondamentali lettere che Mozart e suo padre si scambiarono tra l’8 dicembre 1780 e il 22 gennaio 1781. In esse il compositore discute con Varesco, per interposta persona, le soluzioni da adottare in molte parti del dramma. Non conosciamo l’esito della prima rappresentazione, ma dai pareri dei membri della corte di Monaco riportati nell’epistolario, si deduce che l’impressione destata dal lavoro del compositore venticinquenne fu enorme: «Vi assicuro che mi aspettavo molto da voi» confessò a Mozart il conte Seinsheim in una lettera del 1º dicembre 1780, «ma veramente non mi aspettavo questo!».
Idomeneo venne ripreso a Vienna nel 1786, in un’esecuzione concertistica nel palazzo del principe Karl Auersperg: in questa occasione Mozart trascrisse la parte di Idamante per voce di tenore. L’opera ebbe una notevole fortuna a cavallo tra i due secoli, poi uscì dal repertorio per essere ripresa nel Novecento in versioni variamente rielaborate. Solo a partire dal secondo dopoguerra, con la riscoperta dell’opera seria settecentesca, Idomeneo è stato rappresentato con frequenza sempre maggiore nei principali teatri del mondo, in edizioni fedeli agli originali di Monaco e di Vienna.
Per il libretto di Idomeneo, Varesco si basò sulla tragédie lyrique Idomenée di Antoine Danchet, musicata da André Campra (Parigi 1712), riscrivendola in forma di opera metastasiana con elementi a essa estranei: danze, scene coreografiche, cori decorativi e drammatici. Il finale tragico fu eliminato a favore di quello lieto, mentre il blocco delle scene del terzo atto (6-10), introdotto ex novo, è chiaramente ispirato ad Alceste di Gluck. Il testo offriva dunque a Mozart una notevole varietà di prospettive stilistiche, che lo indussero a esaltarle nel reciproco contrasto, aggiungendovene un’altra, del tutto personale e audacemente innovatrice: quella del realismo psicologico, estranea alle abitudini dell’opera seria metastasiana e destinato a diventare il cardine del futuro teatro di Mozart. Allo stile dell’opera seria appartengono invece le parti di Idomeneo, Arbace e, parzialmente, quella di Idamante. Tre cantanti di vecchia scuola, rispettivamente i tenori Anton Raaff e Domenico de’ Panzacchi e il castrato Vincenzo dal Prato, oltre, naturalmente, alla natura delle situazioni, suggerirono a Mozart una soluzione in tal senso. Nella ‘aria d’ombra’ di Idomeneo "Vedrommi intorno / L’ombra dolente" la musica rappresenta il lamento doloroso degli spiriti dell’oltretomba; nell’aria "Fuor del mar ho un mar in seno" il re paragona il tumulto del proprio animo a quello di una tempesta marina e la scrittura di Mozart riesce a fissare mirabilmente, nelle catene di vocalizzi, l’immagine della burrasca come metafora del dramma scatenatosi nell’animo del protagonista. La regalità solenne di Idomeneo, non priva di un intimo senso di malinconia, contrasta con la reattività nervosa di Idamante. Nelle due arie del primo atto questi esprime il suo dolore per essere stato respinto dall’amata e dal padre; Mozart conferisce al personaggio una sorta di impaziente, nervosa agitazione, insieme a una dolce, talora efebica malinconia: il tutto espresso con un’eleganza di tratto che caratterizza fedelmente la nobiltà del principe.
Ilia, impersonata da una cantante di gusto aggiornato come Dorothea Wendling, è il personaggio più riuscito dell’opera, nonché il primo completamente risolto dal compositore in chiave di realismo psicologico. Le sue arie, in specie la mirabile "Se il padre perdei", si caratterizzano per un lirismo nostalgico che non esclude, tuttavia, forti componenti del carattere: in particolare un’energia morale temprata dalle dure prove subite e in grado di sorreggerla sino al sacrificio della vita. Qui Mozart intreccia alla voce quattro strumenti concertanti (flauto, oboe, fagotto e corno) che dialogano con il canto. Le affannate frammentazioni del ritmo, l’accorta alternanza di canto sillabico e melismatico, di declamazione e di melodia, il trattamento dell’armonia, con le sue dissonanze piazzate dove meglio non si potrebbe in rapporto alle esigenze espressive del testo, il cangiare dei timbri, tutto concorre ad attingere un’ambiguità di segno persino romantica, ricca di implicazioni espressive e di valenze psicologiche.
Le tendenze introspettive riservate al personaggio di Ilia contrastano con la passionalità di Elettra, la cui interprete, Elisabeth Wendling era, come la cognata Dorothea, un’ottima cantante. L’espressione dell’istintualità incontrollata, che pervade la prima e l’ultima aria di Elettra, si realizza in una vocalità ‘martellata’, rigorosamente sillabica, mentre l’orchestra si frantuma in una inesausta varietà dinamica e timbrica. C’è tuttavia in queste arie di Elettra qualcosa di eccessivo e di violento che brucia, per così dire, la melodia e documenta il travaglio creativo di Mozart, ancora incapace di dominare in pieno, come sarà in Don Giovanni , l’espressione delle passioni più violente.
I due pezzi d’assieme, il terzetto del secondo atto e il quartetto del terzo, rappresentano situazioni statiche. Ma quest’ultimo è un capolavoro di finezza psicologica nella resa dei quattro personaggi con i loro sentimenti contrastanti: lo smarrimento inquieto di Idamante che si appresta a partire, la dedizione eroica di Ilia disposta a seguirlo anche nella morte, la rabbia blasfema di Idomeneo che impreca contro gli dèi e la gelosia di Elettra, che le corrode l’animo. Il senso fatalistico del limite, che blocca la volontà dell’uomo dinnanzi al destino, è resa da Mozart con un vero colpo di genio, paragonabile a quelli che fanno dei cori drammatici esempi supremi di musica teatrale. Ricordiamo l’intensità del coro dei naufraghi nel primo atto, diviso in una sezione vicina e in una lontana, mentre l’orchestra riempie gli spazi vastissimi della natura in tempesta con l’imitazione del vento e delle onde; il blocco finale dell’atto secondo, con i due cori divisi dal recitativo di Idomeneo; la potenza evocativa con cui, dopo il recitativo del gran Sacerdote, la folla accoglie nel terzo atto la notizia che Idomeneo dovrà uccidere Idamante: tutti momenti musicali e drammatici che si pongono tra le più alte realizzazioni teatrali di Mozart. Accanto a questi pezzi, i cori decorativi nel primo atto ("Godiam la pace", "Nettuno s’onori") e nel terzo ("Scenda amor") rappresentano momenti di distensione, che il compositore risolve con squisita eleganza di gusto francese.
Idomeneo anticipa molti aspetti dei capolavori futuri, ma rimane un’opera seria italiana fondata sull’alternanza di aria e recitativo, con l’esclusione di veri concertati d’azione. Mozart comprese gli ostacoli che le convenzioni del genere mestastasiano opponevano a quell’esigenza di naturalezza, di realismo psicologico e di continuità temporale nella rappresentazione del dramma che egli sentiva prepotentemente sorgere nella sua coscienza di uomo di teatro. Cercò allora di stabilire una continuità tra un pezzo e l’altro, facendo ampio ricorso al recitativo accompagnato; ma quando, poco prima dell’esecuzione, si accorse della inaccettabile lentezza del terzo atto, non esitò a tagliare tre arie di Idamante, Elettra e Idomeneo per non interrompere l’azione nell’ultima parte della tragedia. Tutta l’opera mostra quindi, insieme al supremo valore dell’invenzione musicale e a una scrittura orchestrale che non ha paragoni per sontuosità di effetti nella restante produzione mozartiana, anche un drammatico contrasto tra il testo, che additava al musicista un certo genere di drammaturgia musicale, e la sensibilità di Mozart, che tenta in ogni modo di piegare gli schemi rigidi dell’opera seria alla sua nuova idea di teatro musicale. Nella sua polivalenza espressiva e stilistica – tragédie lyrique , dramma gluckiano ed elementi di realismo psicologico innestati sul tronco dell’opera seria metastasiana – Idomeneo rimane dunque un’opera sperimentale, priva di unità stilistica ma cementata dalla maestria compositiva di Mozart che ci meraviglia per la ricchezza, la profondità, l’audacia delle soluzioni stilistiche, tecniche ed espressive. Tutto è ad altissimo livello, ma l’invenzione del compositore letteralmente fiammeggia dove il testo, specie nei cori drammatici e nelle arie di Ilia, gli offriva la possibilità di rispecchiare gli intrecci della psicologia umana. La via che guarda al futuro è quindi saldamente tracciata e dopo Idomeneo , senza più indugiare, Mozart potrà imboccarla, aprendo all’opera in musica la rappresentazione della vita nella sua immediatezza, dando al teatro musicale una complessità estetica degna del grande teatro di prosa: un’impresa che il Settecento razionalista riteneva francamente impossibile.
Scheda tratta da
Dizionario dell’opera 2008 Baldini Castoldi Dalai editore