DIE ZAUBERFLÖTE
Sarastro : Matti Salminen
Tamino : Christoph Strehl
Sprecher : Georg Zeppenfeld
1° Priester : Andreas Bauer
2° Priester : Danilo Formaggia
Königin der Nacht : Ingrid Kaiserfeld
Pamina : Rachel Harnisch
1° Dame : Caroline Stein
2° Dame : Heidi Zehnder
3° Dame : Anne-Carolyn Schlüter
Drei Genien : Tölzer Knabenchor
Papagena : Julia Kleiter
Papageno : Nicola Ulivieri (20 aprile) – Markus Werba (22 aprile)
Monostatos : Kurt Azesberger
1° Geharnischter Mann : Danilo Formaggia
2° Geharnischter Mann : Sascha Borris
Nuovo allestimento
Coproduzione de I Teatri di Reggio Emilia, Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Comunale di Modena e Festspiehaus di Baden-Baden, Germania
20 e 22 aprile 2005, ore 19.00
Fonte primaria del Flauto magico è la raccolta Jinnistan ovvero Raccolta di fiabe di fate e di spiriti edita da Christoph Martin Wieland tra il 1786 e il 1789: in particolare la fiaba Lulu ovvero Il flauto magico di August Jakob Liebeskind. Fonti secondarie del repertorio fiabesco sono invece Oberon, re degli elfi di Karl Ludwig Giesecke e il Singspiel Hûon e Amanda (1789) di Friederike Sophie Seyler. Per la tessitura morale dei misteri iniziatici e per l’ ethos illuministico del libretto, nonché per l’ambientazione orientaleggiante ed egizia, alcuni motivi provengono dal dramma eroico Thamos, re d’Egitto di Tobias Philipp von Gebler (già musicato da Mozart anni addietro) e dal romanzo Séthos dell’abate Terrasson; mentre il libro Misteri dell’Egitto del naturalista e massone Ignaz von Born suggerì probabilmente qualche tratto della figura di Sarastro. La consuetudine nata nell’Ottocento di considerare l’opera come una successione di scene costruite sulla progressione verso un unico culmine drammatico, e dunque sulla continuità dell’azione più che su coppie di contrasti, ha pesato a lungo, e pesa tuttora, sul giudizio del libretto del Flauto magico : perfino un uomo di teatro come Richard Strauss lo considerava confuso e strampalato, riscattato solo dalla musica sublime di Mozart. Molti, fin dall’inizio, ne hanno sottolineato l’incoerenza, come se l’opera avesse cambiato linea strada facendo. Questa tesi non soltanto risulta insostenibile da un punto di vista storico, ma è anche fuorviante rispetto alle premesse e ai valori drammaturgici che ne stanno alla base.
Non c’è dubbio che Mozart e Schikaneder abbiano riversato qui le loro idee massoniche di fratellanza e di solidarietà, facendo però dell’iniziazione un percorso teatralmente articolato. Se già il tono solenne della presentazione di Sarastro si identifica, anche nell’ascoltatore più ignaro dei riti massonici, con l’affermazione di valori superiori, quasi sacri, il bene non è ancora un valore acquisito: sarà il risultato di una conquista. Gli elementi di questa conquista portano in primo piano alcune convinzioni di Mozart, collegate alle ragioni più sostanziali e rituali della sua adesione agli ideali della massoneria; l’idea che accanto alla sfera terrena dei sensi, rappresentata nell’opera da Papageno, esista una sfera spirituale, di più completa bellezza: ed è lì che si realizza, nell’aspirazione alla trascendenza, la conquista dell’amore. Questo messaggio, non univoco ma piuttosto realizzato nella compresenza di più piani, non avrebbe tuttavia valore se accanto alla sfera superiore della coppia ‘nobile’ di Tamino e Pamina non continuasse a esistere anche quella inferiore, ‘plebea’, di Papageno e Papagena: umana l’una quanto l’altra. Nel contemperare e collegare questi valori l’opera ha una progressione tutt’altro che astrusa e inverosimile. Le simmetrie molto evidenti di cui l’opera è costellata, dal numero tre simbolo massonico al sette della figura piramidale retta dalla specularità di luce e tenebre, ricostruiscono un’unità formale interna all’opera, che fa della coerenza di piani il perno attorno a cui ruota il divenire delle trasformazioni.