DIE DREIGROSCHENOPER (L’OPERA DA TRE SOLDI)
Un dramma con musica con un prologo e otto quadri
Testo di Bertolt Brecht
Musica di Kurt Weill
Bertolt Brecht / Kurt Weill
Un dramma con musica, con un prologo e otto quadri
Testo di Bertolt Brecht
da “The Beggar’s Opera” di John Gay
traduzione dall’inglese di Elisabeth Hauptmann
Musiche di Kurt Weill
Robert Wilson/Berliner Ensemble
Gionata Geremia Peachum capo di una banda di mendicanti Jürgen Holtz
Celia Peachum, sua moglie Traute Hoess
Polly Peachum, loro figlia Christina Drechsler
Macheath, detto Mackie Messer capo di una banda di banditi di strada Stefan Kurt
Brown, detto Tiger, capo della Polizia di Londra Axel Werner
Lucy, sua figlia Anna Graenzer
Jenny, una prostituta Angela Winkler
Filch, uno dei mendicanti di Peachum Georgios Tsivanoglou
La banda di Macheath, banditi di strada:
Walter Salicepiangente Mathias Znidarec
Mattia della Zecca Martin Schneider
Giacobbe Ditauncino Boris Jacoby
Roberto Sega Winfried Goos
Jimmy Dejan Bucin
Ede Jörg Thieme
Smith, guardia Uli Pleßmann
Kimball, il Reverendo Heinrich Buttchereit
Le Prostitute:
Vixer Janina Rudenska
Prostituta anziana Ruth Glöss
Dolly Ursula Höpfner-Tabori
Betty Anke Engelsmann
Molly Gabriele Völsch
Il messaggero a cavallo Sabin Tambrea
Una voce Walter Schmidinger
Das Dreigroschen Orchester
Ulrich Bartel (banjo, violoncello, chitarra, chitarra hawaiana, mandolino), Hans-Jörn Brandenburg (harmonium, pianoforte, celesta), Tatjana Bulava (fisarmonica), Martin Klingeberg (tromba), Stefan Rager (timpano, batteria), Jonas Schoen (sax soprano e sax tenore, clarinetto, fagotto), Benjamin Weidekamp (sax alto, sax soprano, sax baritono), Otwin Zipp (trombone, contrabbasso), Jo Bauer (effetti sonori e rumori)
Regia, scene, ideazione luci Robert Wilson
Direzione musicale Hans-Jörn Brandenburg, Stefan Rager
Costumi Jacques Reynaud
Co-regia Ann-Christin Rommen
Collaboratore alla scenografia Serge von Arx
Collaboratore ai costumi Yashi Tabassomi
Drammaturgia Jutta Ferbers, Anika Bárdos
Luci Andreas Fuchs/Ulrich Eh
Assistente alla regia Tanja Weidner/Magdalena Schnitzler
Direzione di scena Harald Boegen, Rainer B. Manja
Suggeritore Barbara Matte
Direttore tecnico Stephan Besson
Direttore di produzione Eric Witzke
Direttore sartoria/trucco Barbara Naujok
Truccatrice Ulrike Heinemann
Fonico Axel Bramann
Fotografa Lesley Leslie-Spinks
Prima assoluta: 27 Settembre 2007 al Berliner Ensemble
Editore del testo originale: Suhrkamp Verlag, Frankfurt/Main
Editore musicale: Kurt Weill Foundation for Music, Inc., New York
Per gentile concessione di Barbara Brecht-Schall
Prodotto da Berliner Ensemble
Un progetto di Change Performing Arts in esclusiva per l’Italia
Nel 1728 John Gay, poeta e drammaturgo inglese, presentava al pubblico londinese un nuovo lavoro scritto in collaborazione con il musicista John Pepusch: la "Beggar’s Opera", ossia "L’opera del mendicante", destinata a mietere un successo senza precedenti e mai più uguagliato da posteriori imitazioni; si può intuire la regalità degli incassi dal fatto che essi costituirono una parte cospicua dei finanziamenti grazie ai quali poté venire edificato il Covent Garden. The Beggar’s Opera rappresenta il più fortunato esperimento compiuto nel genere della cosiddetta ballad opera, molto in voga nel primo Settecento londinese e condannato a precoce decadenza dal Licensing Act, con cui il primo ministro Walpole ne proibiva le rappresentazioni. Motivo di tanto livore era il carattere satirico intrinseco non solo alla ballad opera, ma anche ai consanguinei burlesque e pantomime, spettacoli presentati da teatri minori a cui non era permesso inscenare tragedie, commedie d’autore né tantomeno opere liriche. In particolare, prerogativa della ballad opera era l’alternanza di canto e recitazione, a differenza per esempio del burlesque che veniva interamente recitato; questo requisito consentiva alla ballad opera di costituirsi non solo come strumento di parodia sociale, ma anche come mordace caricatura delle opere ‘istituzionalizzate’, che trionfavano sui palcoscenici ufficiali. Le parti cantate, quelle composte appunto da Pepusch, non erano solo ispirate allo stile ‘popolare’, a un’orecchiabilità di sicura presa sul pubblico, ma riecheggiavano a bella posta, storpiandole, le arie più famose di alcuni melodrammi in voga nella Londra contemporanea; la parodia era massiccia e generalizzata, se si pensa che i numeri cantati erano in origine 96.
Divenuta ormai autentico simbolo di quella ballad opera cui aveva attinto il Singspiel tedesco ai suoi primordi, The Beggar’s Opera riempiva ancora i teatri inglesi all’inizio degli anni Venti del nostro secolo; su questo fortunato fenomeno si appuntò l’interesse di Kurt Weill, alla ricerca di un nuovo soggetto su cui lavorare con Bertolt Brecht. L’obiettivo che i due artisti si prefiggevano era la realizzazione di una Zeitoper : con questo termine Weill intendeva designare le creazioni drammaturgico-musicali basate su vicende di matrice contemporanea e imperniate soprattutto su analisi sociali impietose e provocatorie. Weill spiegò, in un suo breve scritto redatto proprio ai tempi della stesura dell’Opera da tre soldi, che il suo concetto di Zeitoper non coincideva più con la ‘volgarizzazione’ che se ne era fatta negli ultimi tempi, in cui il soggetto contemporaneo era diventato mero pretesto per lo sfoggio registico di effetti all’avanguardia; raggiunto il perfezionamento delle potenzialità meccaniche del palcoscenico, sostiene Weill, è necessario che su questa premessa tecnica venga innestato uno scandaglio morale avente come oggetto l’uomo del ventesimo secolo e il milieu che lo circonda. La scelta della Beggar’s Opera illumina in maniera evidente questo intento: la finalità corrosiva e sardonica dell’originale settecentesco viene rivisitata in chiave moderna, rinvigorendone gli strali con una trasposizione della vicenda in tempi moderni. Fece discutere, all’epoca, la decisione di Weill e di Brecht, che non vollero riadattare le canzoni di Pepusch (con l’eccezione del cosiddetto Morgenchoral cantato da Peachum nel primo atto), ma preferirono impiegare al loro posto melodie popolari contemporanee e un buon numero di songs ; la soluzione, però, si fondava su ben ponderate motivazioni e lasciava al compositore mano più libera nell’organizzare il proprio compito. Gay e Pepusch avevano parodiato, nei numeri cantati della Beggar’s Opera, una nutrita serie di arie alla moda: arie, s’intende, estrapolate da opere celeberrime e dal repertorio abituale degli astri canori più osannati. Il pubblico trovava il suo divertimento nell’immediata riconoscibilità di questi brani, la cui spiritosa contraffazione sortiva l’effetto burlesco desiderato proprio perché veniva esercitata sulle pièces favories dell’epoca; nel nostro secolo quest’allusività dissacratrice e sorniona sarebbe andata persa e il vero modo per ripristinarne lo spirito era proprio quello di farla rinascere, anziché dalle ceneri del passato, dai fermenti della modernità. Così Weill rinnova l’obiettivo di Gay e Pepusch attingendo di preferenza al jazz, proprio negli anni in cui in America esso dilaga nella musica colta e in Europa, dopo aver sorretto gli sperimentalismi del Gruppo dei Sei, va riscuotendo trionfali allori nel popolarissimo Jonny spielt auf di Ernst Krenek.
Si potrebbe essere tentati di ricollegare Die Dreigroschenoper alla corrente neoclassica, in virtù dei suoi superficiali agganci con il mondo settecentesco; ma un simile punto di vista è quanto mai fuorviante e indurrebbe a travisare in toto l’operazione culturale compiuta dai due artisti. Meta di Brecht e di Weill è la realizzazione di un lavoro immacolato sì da astruserie intellettuali, ma non certo limitato a un innocente svecchiamento del fortunato plot di John Gay; di fronte a una vicenda arcinota come quella della Beggar’s Opera lo spettatore sperimentava, al contrario, una condizione di perfetta Verfremdung (straniamento), essendo già anticipatamente edotto sugli sviluppi ultimi della trama. In questo modo chi assisteva a una rappresentazione della Dreigroschenoper era posto in uno stato d’animo distaccato, alieno da coinvolgimenti emotivi e propenso a esercitare sulla pièce una lucida critica; e inoltre l’implicito confronto con la versione originale del lavoro lo guidava a cogliere i momenti che Weill e Brecht, attraverso le modificazioni operate, intendevano mettere in rilievo.
Die Dreigroschenoper racchiudeva, al suo apparire, una carica provocatoria dirompente, ben avvertibile proprio attraverso il suo rapporto con l’originale, mantenuto su termini che smentivano la benché minima intenzione ‘neoclassica’; la cantabilità apparentemente corriva maschera un’aggressività neanche troppo latente e l’abbordabilità dei temi ridipinge con la vernice illusoria della rispettabilità le infami malizie dei protagonisti, inquietanti proprio per la loro scaltrita arte di dissimulazione.
Scheda tratta da
Dizionario dell’opera 2008 Baldini Castoldi Dalai editore
Opera 2024-2025
24 gennaio 2025
I Capuleti e i Montecchi • Bellini
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26 gennaio 2025
I Capuleti e i Montecchi • Bellini
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