ANGELO DELLA GRAVITA’, un’eresia
di Massimo Sgorbani
con Leonardo Lidi
regia, scene e costumi Domenico Ammendola
assistente alla regia Eva Martucci
luci e fonica Lorenzo Savi
una produzione NoveTeatro in collaborazione con il Comune di Novellara
Spettacolo sconsigliato ai minori di 16 anni
Domenico Ammendola porta in scena Angelo della gravità, un’eresia di Massimo Sgorbani.
Il testo si è aggiudicato il Premio Speciale della Giuria al Premio Riccione nel 2001 ed è nato in seguito alla lettura di una notizia riportata anni fa dai giornali: negli Stati Uniti, un detenuto nel braccio della morte era in attesa che la sua condanna venisse eseguita tramite impiccagione. L’esecuzione, però, era stata sospesa perché il condannato in questione era grasso al punto che il suo peso avrebbe spezzato la corda del boia. Da qui l’idea di mettere in forma di monologo un fatto che, accostando in modo così bizzarro tragedia e paradosso comico, travalicava da solo la realtà e si poneva nella dimensione del verosimile.
Da qualche anno NoveTeatro porta avanti un percorso di ricerca sulla drammaturgia contemporanea. La scelta è ricaduta su questo testo per due fondamentali motivi: il primo, la sua grande forza drammaturgica che si sposa perfettamente con un’idea di teatro a noi vicina. La seconda, il grande impatto sociale di un testo che non volendo esserlo è, suo malgrado, di forte denuncia sociale e riflessione collettiva.
Un monologo che va all’origine della personale ricerca registica di Domenico Ammendola e del sodalizio artistico con l’autore Massimo Sgorbani. Angelo della gravità, un’eresia è un progetto di NoveTeatro in divenire, in cui la regia accentua le immagini e i momenti ricreando uno spazio asettico e un collage di emissioni sonore e luci, dando enfasi al progredire del tempo e alla potenza della parola come evento acustico, nella volontà di schiaffeggiare il pubblico. Una scenografia a cui l’attore si aggrappa per non lasciarsi trascinare dalla corrente della morte, una cella, ma più esattamente un luogo qualsiasi davanti a Dio; e se non proprio davanti, di sicuro nelle Sue vicinanze.
Il fatto di cronaca originario è rimasto un semplice spunto. "Angelo della gravità" non è la storia di quell’obeso, ma di un obeso, un uomo con evidenti problemi di disordine alimentare e di immaturità psicologica, un animo infantile intrappolato in un corpo cresciuto a dismisura.
La sua sola consolazione è il cibo. Il cibo, un tempo ricevuto dalla madre, è il solo, più alto dono d’amore che lui conosca. E proprio inseguendo il cibo l’uomo approda nel paese da favola dove i supermercati sono aperti a tutte le ore e i panini sono come quelli dei fumetti: gli Stati Uniti. Qui, in terra straniera, consuma l’efferato ma candido delitto per il quale viene condannato all’impiccagione.
Il monologo è il resoconto che l’uomo fa delle sue vicende mentre attende di essere appeso alla corda del boia.
"Angelo della gravità", però, è soprattutto la storia di un’eresia. Eresia paradossale, figlia di una cultura essenzialmente laica e materialista, nella quale lo slancio religioso è sempre mischiato a elementi profani. Eresia di un’epoca in cui il consumo stesso è diventato la più diffusa delle religioni.
Nel corso del monologo, il condannato a morte costruisce la sua personale visione del mondo, la sua cosmogonia, e lo fa utilizzando i soli elementi di cui dispone: cresciuto nel culto delle merci e della televisione, disegna una delirante concezione dell’ordine universale e morale nella quale la pornografia coincide con l’agape e l’indigestione con l’eucaristia. Forte di questa fede, l’obeso approda alla visione celeste degli "angeli della gravità" che grazie alle loro ali vincono il peso della materia e si elevano verso Dio. Nella certezza di entrare a far parte della schiera di questi angeli, il condannato affronta con serenità la sua morte imminente e si consegna a una paradossale ma autentica santità.
Massimo Sgorbani