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I Teatri di Reggio Emilia

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I video

Il Teatro Valli – Teaser

 

L’architettura del teatro.

Come d’uso nei teatri all’italiana, l’impianto rettangolare dell’edificio reggiano è diviso in tre fasce, corrispondenti agli ambienti d’ingresso, al piano terra, e al ridotto, al primo piano, alla sala con la platea e i palchi e al palcoscenico con la macchina scenica. Ciascuna parte è collegata alle altre attraverso corridoi, scale di rappresentanza e di servizio.
Per alcuni aspetti il teatro reggiano si allinea con edifici analoghi, come il nuovo teatro di Modena progettato da Francesco Vandelli (1838). Viceversa, l’idea di una costruzione monumentale isolata e coordinata con un sistema di assi stradali e visuali non trova molti precedenti in territorio italiano, mentre è abbastanza consueta nell’architettura teatrale francese del XVIII secolo. L’architetto Costa sembra aver considerato, in particolare, l’esempio del superbo Grand Théâtre di Bordeaux, opera di Victor Louis, inaugurato nel 1780, corredato da un loggiato di dodici colonne monolitiche e situato al centro di un sistema viario ideato in concomitanza con la sua costruzione.

La facciata principale è esposta a sud ed è ritmata da un portico dorico, composto da dodici colonne monolitiche, stretto da due campate, con pilastri che girano sui fianchi dell’edificio. Le ali laterali sono coperte da terrazze, accessori agli spazi del ridotto, che avrebbero consentito al pubblico di godere la vista dall’alto delle aree circostanti.
Il portico che dà a ovest termina con due gradini, per facilitare l’accesso a piedi, mentre quello a est ne è privo, poiché destinato allo “smonto” dalle carrozze al coperto. Nello spazio tra gli archi ci sono 4 medaglioni a bassorilievo: Menandro, Sofocle, Euripide e Aristofane, del reggiano Paolo Aleotti.
Il secondo livello consta di una successione di 13 finestre, con timpano triangolare.

In alto, in corrispondenza della loggia, 20 statue in pietra gallina alte 3 metri ornano la facciata, con figure che alludono all’istruzione e al diletto, mentre altre 4, alte 2 metri e mezzo, sono collocate su ogni terrazza.

Il vestibolo
Il vestibolo è la parte di accesso al teatro; conta cinque porte d’ingresso dall’esterno (tre centrali che immettono nel vestibolo vero proprio e due che accedono a due spazi laterali, ma comunicanti con esso) e tre porte che lo mettono in comunicazione con l’atrio vero e proprio.
È ornato dai busti di Cesare Costa e di Achille Peri (di Pietro Aleotti) e da due medaglioni che raffigurano, a destra, Terenzio e, a sinistra, Plauto (entrambi dell’Ilarioli). La volta a vela è dipinta a chiaroscuro, così come tutte le altre zone cosiddette di passaggio.
Questo ambiente sobrio ma elegante prepara l’ingresso verso gli altri spazi, dove la ricchezza degli ambienti sarà, man mano, esattamente proporzionale al loro grado di importanza: dal più semplice al più complesso.

L’atrio
Di forma ottagonale allungata, l’atrio si distingue dal vestibolo per la ricchezza e la complessità del suo ornato. La volta a padiglione è ripartita in 12 spazi maggiori e in altri 4 minori: i primi raffiguranti le Baccanti e le Silfidi, il resto, invece, genietti in chiaroscuro.
Dall’atrio si accede agli ordini dei palchi per mezzo di scalinate poste lateralmente all’ingresso della sala e, con una rampa che parte a destra dell’ingresso, si raggiungono le sale del Ridotto, che un tempo erano la sede della Società del Casino e luogo per eccellenza di ritrovo della società reggiana.

La sala di spettacolo
La platea è a ferro di cavallo, con una curva ellittica molto aperta che permette di avere un buon numero di palchi, ottenendo condizioni di ottima visibilità del palcoscenico anche da quelli laterali.
La decorazione è bianco e oro e fu opera (come tutte le altre decorazioni del teatro) di molti artisti locali, guidati da Girolamo Magnani, che ebbe cura di eseguire lui stesso parte dei decori, secondo le condizioni poste dalla commissione appositamente nominata per decidere l’affido dei lavori di decorazione, ritenuti un importante nodo nella fabbrica del teatro.
Nell’ornato della sala si è voluta creare una diversificazione, tale che esso è più ricco per il primo ordine e si semplifica man mano che si sale, a voler sottolineare la maggiore o minore importanza di ciascun ordine.
La sala (15,70 m x 68 m) comprende la platea, quattro ordini di palchi (106 palchi in totale) e il loggione gradinato (Galleria), per un totale di circa 1.088 posti.
Al centro del secondo ordine di palchi si trova l’antico palco ducale, poi divenuto palco reale, utilizzato, in tempi più recenti, come palco di rappresentanza per ospiti illustri.
Per necessità di risparmio, ma anche di igiene, il pavimento dei palchi è in cotto (e non in marmo, né in legno, come era sembrato possibile) e le volte a vela presentano un fondo cilestrino, ornato da una fasci rossa e da arabeschi in giallo oro. Le pareti, invece, sono tappezzate di rosso, in modo che il rosso, insieme al bianco e all’oro, diventa uno dei colori dominanti della sala.
Alle spalle di ogni ordine di palchi corrono ampi corridoi, sui quali si affacciano, in corrispondenza di ogni palco, i camerini (o retropalchi), di proprietà degli stessi palchettisti, che li utilizzavano per intrattenere i loro ospiti. Molti di essi, oltre ad un arredo da salotto, possedevano anche una piccola cucina, che permetteva la preparazione di pietanze, solitamente consumate durante gli intervalli degli spettacoli o, anche, durante le parti di essi ritenute meno interessanti dal punto di vista vocale. Molto di essi hanno un semplice intonaco bianco alle pareti, ma alcuni risultano affrescati e, dunque, di particolare bellezza e interesse.
Due scaloni dall’atrio portano ai vari ordini e anche al loggione, al quale, in passato, però, si accedeva da una scala esterna separata, proprio a significare la separatezza in cui si voleva tenere il pubblico proletario che vi accedeva, da quello borghese e nobile che occupava i palchi.
L’ultimo restauro della sala di spettacolo risale al 1999. Durante i lavori, fu fortuitamente riportato alla luce il marmorino originale, che era risultato “sepolto” da improprie colorazioni successive.
Recentemente è stato introdotto in sala un sofisticato sistema di condizionamento che permette l’uso dello spazio anche durante periodi caldi e che garantisce, durante tutto l’anno, un ambiente climaticamente confortevole.

La volta della sala ospita 8 medaglioni, 4 per autori tragici drammatici, comici e coreografici e 4 più piccoli con putti e genietti, che simboleggiano le virtù del melodramma, della commedia, della tragedia e della coreografia, tutti dipinti dal reggiano Domenico Pellizzi (1818-1875), per celebrare le glorie del teatro italiano.
In dettaglio, i riquadri maggiori rappresentano:
– riquadro sopra l’ingresso: il Melodramma, con Metastasio, Pergolesi e Bellini sovrastati dalla Gloria.
– riquadro sulla destra rispetto all’entrata: la Tragedia, con Alfieri in primo piano, Monti e Andrea Maffei.
– riquadro in corrispondenza del boccascena: la Coreografia, con Viganò e Gaetano Gioia. Il primo reca in mano una fiaccola, chiara allusione al suo capolavoro, Le creature di Prometeo, per il quale Beethoven scrisse la musica.
– riquadro sulla sinistra rispetto all’entrata: la Commedia, con Goldoni, cui si accompagnano gli ormai obnubilati Alberto Nota e Giovanni Maria Cecchi.
I riquadri minori rappresentano allegorie delle Arti Teatrali, viste nel diverso atteggiarsi di putti. Tutte le decorazioni, sia del soffitto, sia dei parapetti dei palchi e del loggione, sia delle altre parti visibili della sala, sono ricoperte d’oro zecchino.

Gallery

Gli arredi e la tappezzeria
Realizzati nel 1857 dalle maestranze artigiane che eseguirono l’apparato decorativo del teatro, gli arredi dei centosei palchi costituiscono, oltre all’indispensabile corredo per l’utilizzazione dei palchi da parte del pubblico e la fruizione complessiva del teatro, anche una collezione di eccezionale importanza per la storia dell’arredo di epoca neoclassica reggiana. Si tratta di circa 198 divani, 208 sedie, 123 sgabelli, 10 poltrone, 106 imbottiture per balaustre.
Le pareti dei quattro ordini di palchi e della galleria erano originariamente rivestite di carta da parati rossa con grandi fiori su fondo lucido. Questi parati, ancora riconoscibili in foto d’epoca risalenti anni Trenta e Quaranta, sono stati successivamente sostituiti nel 1970 circa con una tappezzeria di analogo colore, ma con diverso disegno: più ridotto, seriale e meno elegante. Nel 1999 è stata applicata una nuova tappezzeria con cromìe e disegni desunti dai lacerti de quella originale, ma su materiali con caratteristiche ignifughe.
Le operazioni di restauro dei palchi e delle gallerie hanno interessato la rimozione e il ripristino di circa 1.604 m2 di tappezzeria.

Il piano della platea ed la buca dell’orchestra
Il piano della platea è costituito da assi di abete collegate fra loro mediante anime di legno incollato. Tutto il piano appoggia sopra una serie di pilastri e travi in cemento armato, costruiti nel 1957, poco prima delle celebrazioni dell’anno del centenario.

Il piano della buca dell’orchestra, inizialmente un po’ angusto, è stato reso successivamente mobile, mediante un meccanismo che permette di abbassarlo o alzarlo, a seconda delle necessità. Tale parte può, quindi, scendere sotto il piano della platea e diventare, appunto, buca dell’orchestra, oppure può salire al piano della platea o, ancora, può alzarsi fino al piano del palcoscenico, permettendo così di aumentare l’ampiezza di quest’ultimo.
L’arco del boccascena, in questo caso, funziona come cassa di risonanza e migliora l’acustica verso la sala.

 
 
 
L’orologio
Si trova sopra il boccascena a forma di arco, che separa la sala dal palcoscenico, e fu realizzato, nel 1856, da Silvestro Bonacina. Esso è regolato da un meccanismo ancora funzionante, a carica manuale, sistemato in un’apposita stanzetta ricavata nell’intercapedine compresa fra la volta della platea e il piano della sovrastante Sala dei pittori.

Foto A. Anceschi

Il lampadario
Il lampadario, altrimenti detto Astrolampo, è alto 3,75 m e ha un diametro massimo di 3,05 m. Esso scende da un’apertura centrale, chiusa da una lamina traforata, che, all’occasione, si apre per permettere al lampadario di “scomparire” dentro la sala appositamente pensata al di sopra della volta, dove l’Astrolampo può essere completamente sollevato attraverso un complesso meccanismo di contrappesi. Il sistema originariamente era pensato anche e soprattutto per consentire l’accensione e lo spegnimento dei lumi.
La struttura dell’Astrolampo è in rame, con tubi rivestiti da stucco e legno intagliato e dorato e guarniti da cristalli di diverse fogge (prismi, rosette, mandorle, gocce), e regge 72 lampade. Per motivi particolari, di restauro o di spettacolo, esso può essere calato fino al piano della platea.
Il lampadario del teatro fu il primo luogo della città ad essere illuminato a gas, sostituendo così l’illuminazione con lumi a olio o a candele tipica dei teatri dell’epoca. A questo scopo, l’anno prima dell’inaugurazione, fu indetto un appalto per introdurre in città tale tipo di illuminazione, proprio a partire dal teatro. L’appalto fu vinto da una ditta milanese e subito dopo si diede avvio alla costruzione del gasometro, fuori Porta Santa Croce.

Il Sipario di Alfonso Chierici (1816-1873)
Il sipario del professore reggiano Alfonso Chierici cominciò a prender forma nel 1857 e fu rapidamente ultimato. Esso rappresenta, nella versione definitiva, il il “Genio delle Belle arti italiane che invita ad ispirarsi nelle glorie della storia patria”.
Il corteo dei grandi italiani è suddiviso in tre zone: i “tempi moderni”, i “tempi romani” ed i “tempi antichi”. Fra i poeti si notano Dante, Petrarca, Foscolo, Parini. Alla destra di Dante sono Tasso e Ariosto, attorno al quale si raccolgono gli uomini illustri dello stato estense.
Considerando l’evidente stato di usura del film pittorico, nel 1992 l’opera ha beneficiato di un intervento di restauro, che ne ha garantito nuova coesione della pellicola mediante un consolidamento dell’ordìto. Le lacerazioni sono state ricomposte e riparate con tessuto in seta, gli strappi saldati con resine poliestere sciolte localmente mediate l’uso della spatola a conduzione termica.

Foto Studio PDP

Il Comodino di Giovanni Fontanesi (1813-1875)
Il secondo sipario, detto Comodino o sipario “di comodo”, che veniva usato tra una scena e l’altra per consentirne il cambio, venne dipinto nel 1856 dal pittore reggiano Giovanni Fontanesi. È una grande opera che si colloca nella filosofia del “paesaggio ideale e classico”, di moda tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento.
Seguendo la medesima traccia narrativa del primo sipario, esso rappresenta un paesaggio di rovine da collocarsi forse nella Beozia. In lontananza si scorge una città, che è stata spesso identificata con Tebe, e s’intravedono le vestigia di un tempio. Al centro, la Sfinge e, a destra, una fonte costituita da larghi pietroni sormontati da un folto cespuglio, mentre a sinistra una grande felce apre una specie di rustico viale. Nel mezzo, strumenti musicali, che simboleggiano la poesia. Sono raffigurati inoltre pastori che, deposti gli strumenti musicali, danzano attorno ad una statua di Apollo.
Anche il Comodino è stato oggetto di un recente restauro conservativo.

Foto Studio PDP

 
 

Il sipario di Omar Galliani (1954- )
Nel 1991 venne commissionato un nuovo sipario per il Teatro Municipale al pittore reggiano Omar Galliani: l’opera d’arte – è il caso di dirlo – che egli realizzò e a cui diede il titolo di Siderea, rappresenta un omaggio alla danza. La chiara figura centrale, slanciandosi verso l’alto, si staglia su un vasto campo di blu marezzato. L’enorme tela fu dipinta in teatro, nella Sala dei pittori, ritornata per quell’occasione alla sua antica funzione.

Foto Studio PDP

 
 

Il palcoscenico
Il palcoscenico è assai ampio, praticamente uno dei più grandi d’Italia e questo permette di ospitare allestimenti anche molto ingombranti. Esso ha una profondità massima di 26 m, un boccascena di 13,50 m, mentre l’interno raggiunge la larghezza massimo di 31 m.
Il pavimento è in legno di abete e rovere ed ha un’inclinazione del 5%, tale che, se venisse prolungato verso l’ingresso della platea, esso arriverebbe a collimare col piano del vestibolo.
Lo spazio scenico è definito da 4 grandi pilastri in muratura per parte, che, dal suolo, si innalzano fino alla sommità del tetto. Essi sono collegati fra loro da muri, che, partendo dal sotterraneo giungono fino al palco, delimitando, al di sotto di questo, uno spazio detto appunto “sottopalco”. In alto, i pilastri sono sormontati da una serie di archi, che delimitano lo spazio del primo ballatoio, detto anche “pagliolo”.
Sopra tutta la superficie del palcoscenico corrono, su due diversi piani, i “campi praticabili”, detti “graticciate”, utilizzati per il movimento delle scene e l’impiantistica di illuminazione.
Il piano del palcoscenico è inoltre dotato di botole, che all’occorrenza possono essere aperte e in corrispondenza delle quali, nel sottopalco, sono poste guide per lo scorrimento delle scene, tramite l’uso di carrelli. Il sotterraneo è collegato al sottopalco e questo, a sua volta, con il palcoscenico mediante scale di legno poste a ridosso del muro nord. Dopo alcuni lavori di restauro, il piano del palcoscenico, originariamente completamente mobile, fu reso fisso, per aumentarne la stabilità e la sicurezza, e, allo stesso modo, furono chiusi i tagli in corrispondenza dei carrelli, che comunque rimangono conservati nel sottopalco.

Ai due fianchi del palcoscenico sono distribuiti, ai diversi piani, i corridoi che conducono ai camerini per gli artisti e alle sale prova. A nord, invece, è stata ricavata una grande apertura dalla quale si accede all’esterno, nell’area cortiliva retrostante il teatro, per movimenti di carico e scarico delle scene.

Gallery

La macchineria storica
Da subito, il teatro fu dotato di alcune macchine necessarie ad alimentare l’“illusione” scenica, per la quale l’uso dell’artificio, del mezzo tecnico necessario per la simulazione diventano parte integrante dello spettacolo.
Sono tuttora conservate la macchina per il rumore della saetta, la macchina per l’effetto del vento, quella per l’effetto della pioggia e per il rumore del tuono. Non più conservata, invece, la macchina per i lampi, così come la strada per i voli, ossia l’artificioso meccanismo fatto di carrucole e guide che permettevano agli artisti di librarsi magicamente in volo sul palcoscenico.
Inoltre, nell’apposita Sala dei fondali, si conservavano tutta una serie di scenari dipinti, che, siccome abbastanza generici, si adattavano facilmente a servire da fondali in svariate situazioni sceniche create nelle opere.
Attraverso un semplice meccanismo di carrucole e assi girevoli, esse venivano calate – attraverso apposite feritoie – dalla Sala dei pittori (dove venivano dipinte) sul fondo del palcoscenico e, alla fine degli spettacoli, ritirate su e sistemate sui lunghi pioli fuoriuscenti dal muro nella Sala dei fondali.

Foto Studio PDP

La Sala dei Pittori
Si estende nel sottotetto, per tutta l’ampiezza della platea e dei palchi, ed è un’ampia sala che misura 22,30 m (che corrisponde alla larghezza della platea più la profondità dei palchi), per oltre 29 m di lunghezza. È illuminata da finestre laterali a forma di mezzaluna, e qui, alla luce del giorno, venivano dipinte le scene che si facevano poi calare verticalmente, attraverso un sistema di feritoie nel pavimento che, attraversando la Sala dei fondali, arrivava direttamente sul fondo del palcoscenico. Nella sala esistono ancora le pietre per macinare le terre da cui si ricavavano i colori, e, in un piccolo locale, i fornelli per scaldare acqua e colla, nonché qualche altro attrezzo del mestiere.
La copertura della sala è in legno e le travi, che corrono intere per tutta la sua lunghezza, sono state oggetto di qualche aneddoto, uno dei quali narra che, per farle arrivare in teatro, data la loro lunghezza, fu necessario l’abbattimento di alcuni edifici posti sul fianco est del teatro.
Nel lato nord della sala, il pavimento è attraversato da una lunga fessura, attraverso cui venivano calate o issate le scene, che, attraverso una sorta di lungo corridoio sottostante – chiamato Stiva o magazzino delle scene – arrivavano direttamente sul fondo del palcoscenico, grazie a un meccanismo composto da un argano a manovella.
Nella Stiva, dopo il loro uso, le scene venivano arrotolate e risposte sulle travi che fuoriescono longitudinalmente dalla parete.

Foto Studio PDP

Testi di Liliana Cappuccino

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